La Festa di inizio Anno pastorale

Domenica 3 dicembre un pomeriggio insieme e la Messa con il Mandato ai catechisti

Domenica 3 dicembre, per la prima volta nella nostra Diocesi, l’Anno pastorale inizierà con una festa. In piazza Giovanni XXIII, di fronte alla Cattedrale di Alessandria, vivremo insieme un pomeriggio diverso dal solito. Dalle ore 16 sarà attivo lo stand gastronomico a cura di “Favorite!”, l’osteria contemporanea che si trova all’interno del Collegio Santa Chiara, che proporrà cioccolata calda e vin brulé per tutti. Sarà possibile assaggiare e scoprire due novità: il Panettone del Collegio e il biscotto del Cammino di San Marco. A seguire, alle 16.30, il coro “The Joy Gospel Singers” proporrà un concerto di canti gospel, che in caso di pioggia si terrà in Cattedrale. La festa troverà il suo culmine alle ore 18 con la Celebrazione eucaristica presieduta dal nostro Vescovo monsignor Guido Gallese: durante la Messa avrà ufficialmente inizio l’Anno pastorale 2023-2024 e verrà anche consegnato il Mandato ai catechisti.

Eccellenza, da dove nasce l’idea di una festa in Diocesi?

«Abbiamo discusso e il tema della festa ci è sembrato importante. È un elemento che forse a volte sottovalutiamo, ma è uno dei cinque elementi della vita della comunità cristiana di cui parla papa Francesco al punto 24 della sua “Evangelii Gaudium“. Il primo è Primerear, prendere l’iniziativa; poi coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare. Questo quinto elemento è il risultato degli altri quattro: quando noi togliamo la festa da questo processo, il cristianesimo diventa una sorta di moralismo bigotto. Ma è un elemento fondamentale, perché a volte la festa ti aiuta a guardare il positivo, evidenziandolo e migliorandolo. L’intento nostro è questo: fare una festa diocesana, festeggiando l’inizio del nuovo Anno pastorale e il concludersi di quello precedente. Per vivere insieme questo passaggio, sicuramente dobbiamo celebrare una Messa. La Messa ci è molto più congeniale e abituale, ma purtroppo ne abbiamo perso il senso di “festa”. Perché l’Eucarestia, che è la Messa, significa ringraziamento. Da giovane ero sempre un po’ perplesso, mi chiedevo: “Perché l’hanno chiamata Eucarestia? Mica si ringrazia durante la Messa…”. Io non andavo lì per ringraziare! Crescendo e maturando, mi sono reso conto che il cristianesimo ha una “postura spirituale” che è in grado di stravolgerti la vita, ed è quella dell’atteggiamento di rendimento di grazie a Dio, di lode a Dio. Ecco, la festa serve proprio a questo: a ringraziare, rendere lode a Dio, stare insieme tra noi per condividere ciò che è bello. Ma anche per spronarci a perseguire un Bene ancora più alto, di volta in volta. Questa postura spirituale l’abbiamo un po’ persa».

Di solito pensiamo a di-vertirci… in realtà la festa è per con-vertirci.

«Sì, potremmo usare questo gioco di parole (sorride). È un riorientarsi insieme».

Abbiamo l’idea che sia uno svago, che ci tolga dai problemi quotidiani.

«Ed è giusto che lo faccia. Quando ti toglie per un po’ dalle difficoltà di tutti i giorni, in realtà è perché tu ti ci possa ributtare in modo nuovo, da risorto, con entusiasmo e con gioia. Perché questa è la radice del cristianesimo: una gioia travolgente! E il nostro poco festeggiare in modo cristiano fa sì che questa gioia diventi merce rara, e non diventi attrattiva. Non a caso, il Convegno ecclesiale nazionale di Verona del 2006 aveva messo tra i cinque ambiti di riflessione il lavoro e la festa. Il ritmo del lavoro è “alternato” con la festa: non è un caso, perché il lavoro chiede uno stacco, ma lo stacco serve per riprendere il lavoro nel modo migliore».

La festa comincia domenica 3 dicembre, ma non finisce lì.

«Stiamo pensando di associare un momento di festa alla celebrazione della Madonna della Salve, che sarà ad aprile del prossimo anno. Sempre con questo spirito, per celebrare la Madonna della Salve veramente come una festa, in un modo gioioso. È una sfida bella, perché ci chiede di pensare ai nostri eventi in una modalità diversa. Ci stiamo ragionando, vedremo che cosa ne uscirà fuori. Faremo come lo scriba della parabola, che trae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

Perché una persona dovrebbe venire alla festa di domenica?

«Perché potrà respirare una buona aria di amicizia, di pace, di coesione e di unione. È un’occasione di vera ascesi, per “ricentrarsi” interiormente. Se non siamo capaci di vivere tra noi in comunione, gioiosamente, se non siamo capaci di smettere di lamentarci, difficilmente potremo vivere una festa. E difficilmente diventeremo attrattivi».

Durante la celebrazione delle 18 in Cattedrale verrà consegnato il Mandato ai catechisti. Ce ne parla Leonardo Macrobio, direttore dell’Ufficio catechistico diocesano.

Leonardo, per fare il catechista c’è bisogno di un “Mandato”?

«Quando si comincia a fare qualcosa, bisogna ripetersi le ragioni di un inizio. Il Mandato è un atto del Vescovo che indica come applicare nell’attività dei catechisti le linee fornite nella Lettera pastorale. Due gli aspetti da considerare: darsi le ragioni, e avere una indicazione concreta».

La consegna di questo Mandato avverrà durante la Messa di apertura dell’Anno pastorale.

«Fino a due anni fa, l’inizio delle attività pastorali coincideva più o meno con l’inizio della scuola, per cui c’era una giornata dedicata ai catechisti, tra settembre e ottobre, che poteva essere svolta sia a livello diocesano sia a livello parrocchiale. È sempre stata chiara l’esigenza di avere l’indicazione delle ragioni per partire. Dall’anno scorso è cambiata la scansione dell’Anno pastorale, che non coincide più con l’anno “scolastico” ma con quello liturgico. Dunque, il Mandato per i catechisti è stato spostato alla prima domenica di Avvento».

Come vedi un catechista oggi?

«Il catechista è una persona che racconta a dei bambini o ragazzi quello che di grande ha fatto Cristo nella sua vita, adeguando il linguaggio e gli strumenti ai tempi in cui viviamo. È il testimone per eccellenza, il catechista… Dall’altra parte ha dei bambini che ascoltano e, guidati da una comunità, giudicano e valutano se è qualcosa di interessante per la loro vita, oppure no».

Ma come fanno a giudicare?

«Innanzitutto c’è una comunità, piccola come una famiglia o grande come una parrocchia, che li accompagna in questo giudizio. Secondo: il giudizio nasce da un fascino. San Paolo ha girato una dozzina d’anni per tutto il mondo: quello che mi colpisce è che ogni volta che si fermava, stando pochi mesi, nascevano nuove comunità cristiane. Non perché faceva un piano pastorale, ma perché raccontava il suo incontro con Cristo, con la Chiesa, che per lui coincideva con la comunità di Damasco».

Un consiglio ai catechisti?

«Guardare alle cose grandi che sono accadute nella loro vita, e raccontarle. Affinando il linguaggio, in modo che sia “allineato” a chi ascolta».

E un consiglio ai genitori?

«Il catechismo non è una delega. Non si può demandare ad altri il proprio compito educativo: si può chiedere a qualcuno, a un catechista che si ritiene autorevole, di raccontare e sistematizzare ciò che un bambino ha già respirato in famiglia».

Andrea Antonuccio
Alessandro Venticinque