L’ebreo e l’arabo, l’ucraino e il russo, il daino e il leone

L’Editoriale di Andrea Antonuccio

Care lettrici, cari lettori,

a pagina 5 don Domenico Dell’Omo ci racconta cosa è successo venerdì scorso nella chiesa di Santo Stefano ad Alessandria. Qualcuno è entrato e ha spezzato a metà il crocifisso posto sull’altare. Con un calcio. Le telecamere di sorveglianza hanno ripreso l’autore del gesto, vedremo ora che cosa scopriranno le forze dell’ordine. Non sappiamo se sia stato qualcosa di premeditato, oppure la follia di uno squilibrato: in ogni caso c’è da rimanere sgomenti.

«Sai, vedere quelle immagini mi ha fatto star male per alcuni giorni. Perché è qualcosa che non capisco, mi ha sorpreso… non me lo sarei mai aspettato» ci ha confidato don Domenico, che ha poi detto qualcosa che mi sembra indichi una coscienza cristiana (di vera pace e di vero perdono) che non darei affatto per scontata.

Alla mia domanda sull’autore del gesto («Potendolo incontrare, che cosa gli diresti?») la sua risposta è stata questa: «Cercherei di fargli comprendere non solo la gravità dell’atto, ma anche che è possibile ricominciare: non è un peccato irredimibile. Mi piacerebbe avere un confronto con lui, per provare a capire che cosa lo ha portato a compiere un gesto simile. […] Ma io vorrei dirgli che la Croce per noi è un simbolo di amore, non di odio. Di pace, non di conflitto». La Croce di Cristo come “simbolo”: un termine, quest’ultimo, che nel suo senso originario indicava il “mettere insieme” due parti.

«Voglio vederlo coi miei occhi il daino che gioca accanto al leone, e l’ucciso che si rialza e abbraccia l’uccisore. Voglio esserci anch’io, quando tutti sapranno finalmente perché le cose sono andate così» (Fëdor Dostoevskij, “I fratelli Karamazov”).

Quel giorno vorrei esserci anch’io, davanti all’abbraccio tra Russia e Ucraina, tra Israele e Hamas, tra Hitler e padre Kolbe. E ascoltare quel Dio fatto uomo, Gesù Cristo, mentre mi spiega che è finito in Croce proprio per questo.

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