L’editoriale di Andrea Antonuccio
Care lettrici, cari lettori,
come già sapete, ci piace uscire spesso dai confini diocesani per raccontarvi la fede. Su questo numero troverete la commovente intervista che Alessandro Venticinque ha fatto a Giovanni Ricci, figlio di Domenico Ricci, l’appuntato dell’Arma dei Carabinieri trucidato dai terroristi delle Brigate Rosse il 16 marzo 1978 in via Fani, a soli 43 anni. Domenico era l’autista di Aldo Moro, che in quell’agguato fu rapito e non tornò mai più a casa. Con Ricci caddero altri quattro uomini della scorta: Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Giovanni Ricci ci racconta la sua vicenda: una storia nella Storia, troppo “potente” per stare su una sola pagina. Ecco perché ci siamo allargati anche a pagina 10: quel fiume impetuoso di sofferenza e rinascita, narrate con grande serenità da Giovanni, non potevamo proprio interromperlo.
Un fiume che mette straordinariamente insieme morte e risurrezione, Quaresima e Pasqua. A partire dall’odio, sentimento umanissimo di cui non ci dovremmo vergognare (Cristo sarebbe inutile, se fossimo già “buoni”). Un odio, pesantissimo, che si trasforma grazie a un evento importante: «Fino a quando nasce mio figlio, nel 1996. Lui porta il nome del nonno, Domenico Ricci. Quando è nato mi sono detto: “Se domani andasse a scuola e incontrasse il figlio di un terrorista, cosa dovrebbe fare? Odiarlo come faccio io?”. No, mi sono risposto, l’odio è come rimanere incagliato in una rete da pesca: più cerchi di liberarti, più ti stringe e ti porta a fondo. Quella rabbia mi stava trascinando nel baratro. Poi la mia vita è cambiata».
Per sapere come, vi invito a leggere l’intervista. E ringrazio di cuore Giovanni per la sua testimonianza, che mi fa respirare: è un segno clamoroso che Cristo presente, riconosciuto nelle circostanze della vita, può farci risorgere sul serio. Chi di noi non ne ha bisogno?
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