Su quella barca potevano esserci i nostri bambini

Editoriale 

Care lettrici,
cari lettori,
il tema di apertura di Voce è veramente drammatico: dopo diverso tempo, le coste italiane sono tornate a essere teatro di una tragedia immane, quella degli oltre 60 migranti inghiottiti dal mare in tempesta al largo delle coste crotonesi. Alessandro Venticinque ci racconta che cosa è accaduto, insieme con alcune testimonianze (e giudizi) che cercano di uscire dal solito gioco delle parti destra-sinistra (di cui mi sono già stancato). Mi impressiona che di fronte a una ecatombe di questa gravità la politica (tutta) non sappia dire altro che non sia: “Ho ragione io”. Finora il tema degli sbarchi è stato usato quasi sempre come arma elettorale, diciamoci la verità. Ma l’umanità, la nostra umanità, che fine ha fatto? Proviamo a chiedercelo, onestamente (vi avviso, fa male): abbiamo sofferto di fronte ai corpi dei bambini che galleggiavano in riva al mare? Ci siamo immedesimati nella disperazione di quei genitori che si sono imbarcati con tutta la famiglia, sapendo che quel viaggio si sarebbe potuto concludere tragicamente? Riusciamo a immaginarci al loro posto? Erano persone che sfuggivano alla guerra, come ha ricordato il cardinal Zuppi, presidente della Cei: «Il grande problema è che quelli che sono affogati avevano diritto, diritto ad essere accolti, scappavano da una guerra, la maggior parte di loro probabilmente erano afgani, e quindi bisogna cercare che i rifugiati siano trattati come tali e quindi hanno il diritto di essere esaminati». Comunque la si pensi, in questa vicenda c’è un aspetto che non possiamo delegare alla politica: è la nostra umanità. Che di fronte a queste tragedie ha solo due scelte: rivendicare un “aver ragione”, in un senso o in un altro; oppure guardare senza paraocchi quello che succede. Perché un giorno quelli sul barcone potremmo essere noi. O i nostri figli. O i nostri nipoti.
Ci abbiamo mai pensato?

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