“Alessandria racconta” di Mauro Remotti
Nel corso del XIX secolo, l’Italia dovette affrontare diverse epidemie–pandemie di colera. Una delle più virulente fu senza dubbio quella che si propagò nel biennio 1854-1855. In Alessandria i primi casi si registrarono a partire dal mese di luglio del 1854, quando due forestieri giunti dal porto di Genova morirono improvvisamente.
Nel quaderno n.2 di Cathedra Alexandriae, intitolato Peste lo colga, Piercarlo Fabbio così descrive l’infezione colerosa: «La malattia si poteva contrarre in seguito all’ingestione di acqua o di alimenti contaminati da materiale fecale di persone infette. I cibi crudi o poco cotti erano maggiormente a rischio per il contagio, mentre la trasmissione diretta tra uomo a uomo era rara se si viveva in condizioni igieniche normali. Ma all’epoca, lo si sa, le condizioni igieniche delle città e delle campagne non erano certo soddisfacenti».
Sulla scorta dell’esperienza maturata durante la precedente crisi epidemica del 1849, «subito il Consiglio Provinciale di Sanità varò alcune misure per fronteggiare la probabile estensione dell’epidemia in città: si divise l’abitato in rioni a cui vennero assegnati medici per compiere visite periodiche nelle abitazioni; venne istituito un Consiglio di Sorveglianza e si fece aprire una lavanderia per disinfestazione dei panni infetti» (Andrea Valentini, Il colera in Alessandria tra il 1849 e il 1855).
Inoltre, i conventi dei frati Domenicani e dei Servi di Maria vennero utilizzati come ricovero per le famiglie povere. Dalla seconda metà del mese di agosto, il contagio iniziò a svilupparsi rapidamente, e un ruolo non secondario lo ebbero le prostitute, oltre alle lavandaie costrette a spostarsi per lavoro tra i quartieri cittadini. L’antica credenza che attribuiva la diffusione delle epidemie a untori che avvelenavano i pozzi non tardò a manifestarsi.
Lo studioso Piero Angiolini racconta che: «Un triste episodio di violenza accadde la sera del 22 settembre. Lungo il Canale Carlo Alberto che allora scorreva dove oggi vediamo il Corso Cento Cannoni, fu sorpreso un vecchio che spargeva polverine…Il malcapitato fu preso e tra urla e percosse dalla folla crescente, fu portato alla Guardia Nazionale. Buon per lui che la Caserma si trovava nei pressi del Canale (ex Convento delle Orsoline di via Lodi, ora Istituto Magistrale), ebbe così salva la vita!».
L’ondata pandemica durò sino al mese di novembre con un picco di mortalità pari al sei per mille (il più alto delle province piemontesi). Pare che questo triste primato sia stato raggiunto a causa dell’avversione della popolazione alessandrina nei confronti del governo sabaudo, che veniva attuata attraverso il rifiuto al ricovero e all’assunzione delle medicine. Una recrudescenza della malattia si ebbe nel mese di settembre del 1855 e durò sino a fine anno.
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