Matteo Chiriotti, al primo anno di Seminario
«Se l’età media dei seminaristi italiani è di 28 anni, io l’abbasso un po’». A dircelo, sorridendo, è Matteo Chiriotti, 19 anni, al primo anno di seminario in diocesi di Alessandria. Dopo gli studi informatici al “Sobrero” di Casale Monferrato, ha svolto un anno di propedeutico nelle parrocchie di Valenza. Un periodo di discernimento per “chiarirsi” le idee, e poi la scelta di entrare in seminario.
Matteo, quando ti sei “accorto” della tua vocazione?
«Cronologicamente, la possiamo collocare nell’estate 2019. C’è stato un percorso, insieme con i ragazzi dell’oratorio e don Santiago Ortiz, che mi ha posto davanti a diverse domande. Ricordo che un giorno, durante un’Adorazione Eucaristica con animatori e ragazzi del centro estivo, mi sono chiesto: “Cosa devo fare della mia vita? Non è che il Signore mi sta chiamando?”. Da lì è iniziato un percorso di discernimento per capire di più, perché per me erano tutte emozioni e sensazioni nuove. Tra preghiera, segni ed esperienze ho davvero capito che quella era la mia strada».
Sei entrato in seminario a 19 anni… Molti potrebbero pensare: «Ma non è troppo presto?». Tu cosa rispondi?
«Questa domanda l’ho affrontata diverse volte. Mi chiedevo: “Non è una infatuazione del momento? Non è troppo presto?”. Per prima cosa sono passati già due anni, e questa “infatuazione” non è ancora passata. Seconda cosa, oltre a studi, attività e pastorale, mi sono fatto un’altra domanda-chiave: “Stare in questo ambiente mi rende felice?”. Ora come ora non riesco a immaginarmi qualcosa di diverso che mi attiri allo stesso modo. L’età influisce fino a un certo punto: quando una persona fa un percorso e si sente chiamare da Dio, lo scopre a 19, come a 30 o a 80 anni. Credo proprio che il seminario serva anche a capire se la tua vocazione è vera, perché tutto si sperimenta attraverso la prova. Quindi rispondo: è vero, può essere presto, ma quando una persona fa esperienze forti che cambiano la vita, l’età non conta più. Ma conta ciò che hai vissuto».
C’è un santo a cui fai riferimento?
«Certamente, san Giovanni Bosco. Mi ha accompagnato sin dall’inizio, proprio perché la mia vocazione è partita in un contesto giovanile, di oratorio, e lui è al centro delle attività di Valenza. Con don Bosco si è creato un rapporto di preghiera e dialogo, maturato in diverse Grazie. Tanti segni incredibili donati non solo a me, ma anche a tutto il gruppo dell’oratorio. Quando non so dove picchiare la testa, quando sono in difficoltà spiritualmente, chiedo aiuto a don Bosco. Lo sento sempre vicino».
Come ti trovi nel seminario di Alessandria? E quanto dureranno i tuoi studi?
«In seminario mi trovo bene, provo a vivere il mio percorso nel miglior modo possibile, cercando di cogliere il meglio in ogni occasione che mi capita. Gli studi, che faccio a Torino, dovrebbero durare cinque anni, salvo imprevisti (sorride)».
Dal 1970 a oggi le vocazioni in Italia sono diminuite di oltre il 60%. Secondo te perché?
«Credo che serva più preghiera. Oltre a questo penso che la Chiesa non vada più di moda, soprattutto tra i giovani. Negli ultimi anni ha perso il suo carisma, forte, che aveva in un’altra situazione sociale e in altri tempi. Chissà quanti giovani il Signore chiama a sé, e loro non se ne rendono nemmeno conto. I ragazzi oggi hanno altri punti di riferimento, ma se provassero una piccola parte di quello che si prova a stare con il Signore, le cose cambierebbero».
Credi che si venga chiamati ad altri tipi di vocazione?
«Certo, le vocazioni non sono solo a livello sacerdotale. Gesù Cristo dice: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. Queste sono parole rivolte a tutti, non solo ai consacrati. Però mi sembra che non manchino soltanto le ordinazioni sacerdotali, ma anche le comunità, i fedeli. Manca l’essere Chiesa».
C’è qualcuno che vuoi ringraziare per questo percorso?
«Innanzitutto ringrazio monsignor Guido Gallese, per l’accoglienza e la fiducia che ripone nella mia vocazione. Il Vescovo ha avuto un ruolo fondamentale nella mia formazione. Sempre per questo aspetto è stato importante don Santiago Ortiz, lo ringrazio perché mi ha accompagnato e formato, facendomi toccare con mano la vera Chiesa. Infine, i ragazzi dell’oratorio perché mi hanno aiutato molto. Dalla famiglia agli amici, ognuno ha un ruolo importante in questo mio percorso… ci tengo a ringraziarli».
Alessandro Venticinque
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