Caritas e Scout
«Avere così tanti giovani per un periodo lungo, con turni strutturati per noi è stata un’esperienza nuova e davvero sorprendente. Spiace che sia già finita: il desiderio è quello di non disperdere quanto imparato e le relazioni create e mettere in campo nuove possibilità di collaborazione con i ragazzi». Giampaolo Mortara, direttore della Caritas diocesana, non ha dubbi: il servizio svolto dagli scout all’apertura straordinaria in orario serale della Mensa della Caritas è stato un momento di arricchimento per tutti, un possibile inizio di una rinnovata collaborazione con volontari giovani.
Giampaolo, come sono stati d’aiuto i ragazzi degli scout alla mensa serale della Caritas?
«Dal 30 agosto al 25 settembre tutti i gruppi scout della nostra Diocesi hanno svolto un servizio alla nostra mensa: i ragazzi e le ragazze che ci hanno dato una mano sono stati circa una ventina, tutti tra i 16 e i 20 anni, organizzati in turni da sei persone, con un loro Capo. Per noi è stata un’esperienza nuova: per la prima volta siamo venuti a contatto in modo continuativo con un gruppo di giovani fattivamente coinvolti nel servizio. Da noi solitamente i volontari hanno qualche anno in più».
Cosa ti aspettavi e cosa hai visto?
«Forse mi aspettavo dei giovani più timidi e impacciati: ho trovato invece dei validi aiutanti, degli scout “svegli”, forse perché hanno una formazione molto buona».
Questo gruppo di giovani che novità ha portato?
«Anzitutto si sono organizzati da soli i turni. I ragazzi giovani poi di solito hanno bisogno di un accompagnamento, di una guida. Invece loro sono stati autonomi fin da subito. Mi ha colpito molto anche il modo in cui si sono approcciati alla nostra mensa. Chi porta la fatica di un servizio e si confronta con la realtà del disagio da tanti anni comprensibilmente a volte può essere un po’ affaticato: questi giovani invece erano un’esplosione di entusiasmo ed energia, hanno portato una ventata di freschezza e contentezza. Ho visto proprio tanta passione e voglia di fare nelle cose semplici».
Ci racconteresti un momento dove hai percepito il loro entusiasmo?
«I ragazzi arrivavano alle 17 e il compito che dovevano svolgere era relativamente semplice. Il pasto della sera infatti, sempre da asporto, era o un panino o una pietanza preparata dal cuoco che si doveva porzionare. Un aspetto che mi ha proprio colpito è stata la fantasia e la cura che mettevano i ragazzi nel fare le cose, nel preparare un panino. Li sentivo dirsi tra loro frasi tipo: “Ieri l’ho fatto con il tonno e l’insalata, stasera lo preparo con tonno maionese e prosciutto, così possono assaggiare qualcosa di diverso”. Una serie di piccole attenzioni che scaldano il cuore».
E i frequentatori della mensa come hanno reagito?
«Mi è rimasta impressa la reazione di un giovane senzatetto che frequenta la mensa. Una sera, rivolgendosi a una ragazza scout le ha detto: “Io questa sera ho mangiato un super panino: mai avevo mangiato una cosa così squisita”. Il gradimento da parte dei nostri ospiti abituali è il segnale più chiaro del buon lavoro fatto dai ragazzi. A volte vengono cucinati piatti particolarmente elaborati, ma l’amore con cui un ragazzo scout ha fatto un panino, dosando al punto giusto maionese e pomodoro, rimane più impresso».
Un altro aspetto che ti ha stupito?
«Una mensa è frequentata da persone fragili, che non tutti i giorni sono di buon umore: capita che possano essere scontrosi, difficili da gestire. Il fatto di trovarsi dei ragazzi giovani ho notato che è stato per loro un elemento tranquillizzante. La sera poi di solito sono anche più problematici, ma forse l’elemento di novità forse l’approccio fresco e diretto che hanno gli scout, semplice e immediato, ha contribuito a far tornare loro il buon umore».
C’è qualche progetto in cantiere per il futuro?
«Mi spiace che sia finito il percorso, l’abbiamo messo in piedi in poche settimane ed è stata un’esperienza molto bella. Stiamo valutando di fare ancora qualcosa con i ragazzi, tenendo sempre in gran conto i nostri volontari storici, per favorire una positiva integrazione fra le generazioni. Vi racconto una cosa di me per farvi capire come questa esperienza mi ha fatto riflettere. Io che ho 50 anni molte volte mi trovo a dire o pensare che le cose vanno bene perché si sono sempre fatte in un certo modo. La definisco la politica del “si è sempre fatto così”. Lo dico anche io stesso, “facciamo questa cosa in questo modo perché ha sempre funzionato, quindi non c’è motivo di cambiare”. Questa esperienza mi ha insegnato a guardare il servizio in un altro modo, mi ha mostrato concretamente attraverso l’esempio dei ragazzi come si può innovare e di sperimentare anche nelle piccole cose».
Zelia Pastore
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