«Una Casa per condividere un pezzo di cammino insieme»

Speciale “50 anni di Maria Nivis”

Marlène Coppola, responsabile diocesana del Settore Giovani di Azione Cattolica, ci racconta il suo rapporto con la “Maria Nivis” di Torgnon. Tra aneddoti, ricordi e uno sguardo al futuro.

Marlène, che cos’è per te la “Maria Nivis”? Quando ci sei andata la prima volta?

«Per me la “Maria Nivis” è il posto felice. Il posto per andare, tornare e ricaricare le batterie. Associo la Casa a momenti di festa, condivisione, tra canti, giochi, attività, riflessioni e passeggiate. Il tutto con amici vecchi e nuovi, di diverse età e generazioni: piccoli, grandi, “adultissimi”, famiglie. Tutti lì per uno scopo comune: condividere esperienze e un pezzo di cammino insieme. La prima volta ci sono andata per la Festa Popolare, quattro anni fa. Mi ricordo di una giornata intensa, vissuta appieno, conoscendo un sacco di persone con cui mi sono subito trovata bene, a mio agio, come se li conoscessi da sempre. La giornata si era conclusa con la voglia di tornare e vivere quell’esperienza per più giorni. L’anno successivo sarebbe poi nata l’idea di “GiornInsieme”, allo scopo di associare alla Festa Popolare anche un momento di condivisione: un’esperienza più approfondita, a 360°».

Qual è il ricordo più bello?

«È difficile parlare e individuare un “ricordo più bello”. Sicuramente porto nel cuore il momento in cui sono entrata nella Cappella della “Maria Nivis”. Ne avevo sempre sentito parlare, tutti mi descrivevano questo luogo in modo particolare. Avevo un sacco di aspettative, e non sono rimasta delusa. Anzi, la prima volta in cui sono entrata me ne sono innamorata. È difficile spiegare la sensazione: forse vedere queste ampie vetrate da cui entra la luce, essere circondati da un paesaggio così suggestivo rende tutto l’ambiente più caldo e familiare. Questo è il luogo in cui durante l’arco della giornata, anche singolarmente, ci si ritaglia un istante per ritrovarsi. Ed è sempre il primo posto in cui si va appena sistemati, e l’ultimo prima di ripartire».

Che cosa ha da dire questa Casa ai giovani?

«La Casa nasce dal sogno e dal desiderio di alcuni giovani, con lo scopo di realizzare un luogo il più possibile familiare, dove poter condividere esperienze, momenti di preghiera e di gioia. Un desiderio portato avanti e concretizzato, con tutte le difficoltà del caso: economiche, organizzative e gestionali. In questa situazione, mi ci ritrovo anche al giorno d’oggi: la volontà è rimasta la stessa, quella Casa la consideriamo casa nostra. Ci teniamo a tornare più volte l’anno e a prendercene cura, mantenendo i contatti con i gestori coinvolgendoli nelle nostre attività. Questo, tenendo conto anche delle difficoltà della pandemia, è il nostro desiderio, lo stesso dei giovani di 50 anni fa, ovvero mantenere la tradizione e continuare a impegnare il nostro tempo a disposizione degli altri. Per permettere anche ad altre generazioni di poter vivere ciò che a noi è stato donato».

Tu sei responsabile diocesana del Settore Giovani di AC: come oggi i ragazzi danno continuità a certi valori stando al passo con i tempi, e non semplicemente per tradizione?

«Sono dell’idea che certi valori non possano passare di moda. Gli anni passano, ma i valori rimangono. Non tanto per tradizione ma perché sentiti, condivisi e parte di noi, della nostra storia e dello stile di vita dell’AC. Sono valori che non sempre ritroviamo in una società come quella di oggi, dove spesso le cose vanno rincorse. Per questo cerchiamo di mantenere e di applicare anche nel contesto scolastico e lavorativo la condivisione, il dialogo, l’approccio con il prossimo e la cura del Creato. Valori che facciamo nostri e trasmettiamo, per poterli applicare giorno dopo giorno».

Alessandro Venticinque

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