Don Ivo Piccinini, Delegato vescovile per la pastorale del lavoro
Don Ivo Piccinini (in foto qui sotto), parroco di San Michele, è un sacerdote che ad Alessandria (e non solo) non ha bisogno di presentazioni. Ma forse non tutti sanno che dal 2013 è anche Delegato vescovile per la pastorale del lavoro. Gli abbiamo chiesto un commento sulla morte del cinquantenne Flamur Alsela, avvenuta una settimana fa nel cantiere del futuro polo logistico Amazon.
Don Ivo, la morte dell’operaio nel cantiere Amazon ha colpito tutta Alessandria. Si riesce a “capire” questo dolore, o possiamo solo adeguarci?
«Credo che dobbiamo adeguarci fino a un certo punto, perché ci si può impegnare per eliminare i rischi legati al lavoro. Alcune aziende l’hanno già fatto; per rimanere in ambito locale, alla Michelin hanno eliminato tutti i rischi e investono per la sicurezza degli operai. Bisogna incentivare le imprese a occuparsi della sicurezza, e trattare le imprese secondo i meriti, evitando troppe scartoffie per quanto riguarda i controlli: devono essere fatti sul campo e si devono anche verificare i materiali da costruzione nel caso delle imprese edili; bisogna anche eseguire una formazione perenne per le maestranze. Dedicare mezza giornata al mese per l’aggiornamento e per la sicurezza nei cantieri dovrebbe essere un’abitudine. L’operaio deve acquisire consapevolezza anche dei rischi che corre e di ciò che si deve fare per evitarli, senza pensare che “tanto succede a un altro”».
Cosa si sentirebbe di dire alla famiglia del defunto?
«Difficile trovare le parole giuste… non lasciamo soli i familiari! Umanamente, bisogna risparmiare alla famiglia le fatiche e i dolori successivi alla morte di questa persona. L’ideale sarebbe dare loro la consolazione che oltre al dolore per la morte del loro caro non vadano ad aggiungersi i problemi legati a carte, indagini e accertamenti. Le carte vanno fatte prima di questi disastri. Nel 2021 non possiamo morire in queste situazioni. Non dobbiamo volere un’occupazione sempre e comunque, anche in condizioni difficili e rischiose per la vita. Quando ero viceparroco, una mattina di tanto tempo fa salutai un padre di famiglia che si recava al lavoro. Poco dopo fu investito da un camion: lasciò tre figli piccoli e una moglie. In quell’occasione la comunità parrocchiale aiutò tantissimo la famiglia. Non si può morire per lavorare; è contemplato anche dal quinto Comandamento: “Non uccidere”. E nella casistica delle uccisioni rientra anche una morte causata da mancanza di risorse a cui altri dovevano provvedere, come per esempio un’adeguata sicurezza sul lavoro. Bisogna riconoscere le imprese virtuose e destinare alla sicurezza una fetta importante di risorse: se lo Stato vuole che finisca questa ecatombe deve dare una mano economicamente, pagando almeno la metà delle spese per far fronte alla sicurezza dei lavoratori».
Ci saranno conseguenze dopo questo disastro?
«La mia paura è che non succeda niente dopo il funerale. A parte il percorso giudiziario, sarebbe importante sapere cosa verrà fatto. Una buona cosa sarebbe migliorare la qualità dei controlli sul luogo di lavoro, non sempre effettuati con le dovute procedure. Questo anche perché per natura siamo diffidenti e non credibili. La tendenza a “fregare” è insita nell’uomo da sempre, la noto fin da quando andavo al mercato da bambino. Non bisogna dare scontato che la gente sia onesta, purtroppo».
Lei è Delegato vescovile per la pastorale del lavoro. Come può intervenire la Chiesa su questi temi?
«La pastorale deve intervenire parlando di questi temi con gli industriali, portando avanti questi ideali di controllo delle condizioni di lavoro, senza guardare solo ed esclusivamente al profitto. Quando ero Direttore dell’ufficio problemi sociali e lavoro, organizzavamo incontri con gli industriali sulle politiche aziendali. Parlavamo però forse troppo di temi astratti, o meglio discutevamo delle politiche generali da seguire, mentre ora dobbiamo scendere nei dettagli. Come Chiesa dobbiamo parlare con gli industriali e far passare il concetto che la vita ha un valore fondamentale. La nostra base è l’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa, ma non dobbiamo fermarci ai princìpi: su questi siamo tutti d’accordo. Dobbiamo scendere nei particolari, dobbiamo chiedere ai dirigenti d’impresa: “Quanto tempo vuoi dedicare a formare e a mettere in sicurezza le maestranze? Quanta parte del tuo profitto vuoi spendere per eliminare gli incidenti sul lavoro?”. Dobbiamo chiederci inoltre se come cristiani applichiamo ciò che ci prescrivono i Comandamenti: riusciamo davvero a trarre le giuste conseguenze dai princìpi di fede che professiamo?».
Marco Lovisolo