Alla scoperta dell’Economia civile

“La recensione” di Fabrizio Casazza

I tre libri che presentiamo oggi hanno in comune non soltanto gli autori e la tematica (l’economia) ma anche la prospettiva con cui la studiano. Vediamo. Luigino Bruni in “La pubblica felicità” (Vita e Pensiero, pp 191, euro 15) cerca un dialogo tra storia, economia e teologia. A partire dall’esperienza del monachesimo occidentale – che con il motto ora et labora riscattò la frattura tra dimensione materiale e sfera intellettuale, tipica dell’antichità – il volume pone in evidenza l’apporto significativo dell’economia civile; se per la scienza economica moderna, fondata nel Settecento da Adam Smith, al centro c’è la ricerca della ricchezza delle nazioni, per l’economia civile l’obiettivo principale è il perseguimento della felicità pubblica, la quale non si riduce peraltro alla somma dei piaceri individuali e, anzi, non può prescindere dal riferimento alla qualità delle relazioni.

Fin dal suo sorgere come scienza moderna nel Settecento, l’economia è sempre stata osservata con un occhio maschile. Suor Alessandra Smerilli, docente universitaria, consigliere dello Stato della Città del Vaticano per nomina pontificia, si propone di rovesciare questo modello in “Donna economia” (San Paolo, pp 190, euro 16). Due sono le trappole da cui guardarsi, innanzi tutto, nel rapporto maschio-femmina: ritenere che «pari dignità equivalga a perfetta uguaglianza» ed esasperare le specificità della donna, cosicché si produca una nuova paradossale discriminazione. Occorre che i due sguardi al mondo del lavoro diventino complementari: aspetti materiali e istituzionali devono compenetrarsi con la cura e le relazioni. Per implementare uno stile di cooperazione occorre per prima cosa cambiare il modello antropologico di riferimento, in particolare nel concetto di razionalità. Gli studi del premio Nobel Amartya Sen già da diversi decenni hanno dimostrato che non è affatto razionale e per nulla reale una visione di razionalità intesa come perseguimento egoistico ed esclusivo del proprio tornaconto. Va valorizzata, al contrario, la funzione dei «beni relazionali», quelli in cui la relazione non è strumentale ma rappresenta il bene di per sé.

 

“Benedetta economia” (Città Nuova, pp 126, euro 12) – la cui prima edizione uscì in concomitanza con la crisi finanziaria del 2008; la seconda ora, mentre affiorano i problemi determinati dall’emergenza sanitaria – parte da un presupposto, ben descritto nella prefazione da Stefano Zamagni, attualmente presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali: «la vita in comune tra uomini è cosa ben diversa dalla mera comunanza del pascolo degli animali. Nel pascolo, che pure presuppone una forma di convivenza, ognuno mangia per proprio conto e cerca, se gli riesce, di sottrarre cibo agli altri animali. Nella società umana, al contrario, il bene di ognuno può essere raggiungibile solo con l’opera di tutti» (p. 8). In base a questo approccio il libro muove alcune critiche al concetto di meritocrazia, che legittima eticamente le diseguaglianze confondendo talento e merito. Scrivono gli autori, Luigino Bruni e suor Alessandra Smerilli: «Se quindi un sistema sociale premia chi è già capace, non fa altro che lasciare sempre più indietro i meno capaci, che non sono tali per demerito ma per la vita» (p. 22).

Due figure speciali che hanno segnato in questa direzione la storia europea sono san Benedetto e san Francesco, che hanno dato avvio a quella forma particolare di economia che è l’economia civile, che oggi sta tornando in auge. Un ruolo decisivo è su questo fronte giocato dai carismi, che sono «un dono di occhi capaci di vedere cose che gli altri (che non hanno quel carisma o che non ne partecipano) non vedono» (p. 28). Il carisma non è relegato al mondo spirituale ma irriga il campo del mondo, proprio come fecero i citati santi medievali. Dai tre testi emerge la convergente necessità di un nuovo schema economico, fondato su un rinnovato approccio antropologico che, per usare le parole di papa Francesco, superi la «cultura dello scarto» senza confondere merito con talento.

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