Uno che giudica, muore e ci insegna ad amare

L’Editoriale di Andrea Antonuccio

Care lettrici, cari lettori,

su questo numero di Voce leggerete il frutto del nostro lavoro, e forse qualcosa in più. Qui al settimanale diocesano 1+1 fa 3, e a volte anche 4. “Qualcuno” ci mette lo zampino (e lo fa ogni volta!) e ci dà una grossa mano nel trovare e raccontare storie nuove, persone belle e testimonianze di fede che ci riempiono il cuore. Vi lascio il piacere della scoperta: so che su questo numero troverete molte cose che vi colpiranno.

Vi segnalo soltanto due cose: l’intervista al nostro vescovo Guido, in occasione dei suoi 30 anni di Ordinazione sacerdotale (29 settembre 1990); e il nostro paginone centrale, dedicato a Rosario Livatino (nella foto di copertina), il “giudice ragazzino” ucciso dai sicari della mafia il 21 settembre del 1990, per il quale è stato avviato il processo di beatificazione.

In una conferenza tenuta proprio da Livatino il 30 aprile 1986 a Canicattì sul tema “Fede e diritto”, il giudice pronunciò alcune frasi che mi hanno colpito e che desidero sottoporvi. Eccole: «Il compito dell’operatore del diritto, del magistrato, è quello di decidere; orbene, decidere è scegliere e a volte scegliere fra numerose cose o strade o soluzioni; e scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare». E ancora: «Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto per il tramite dell’amore verso la persona giudicata».

L’amore verso la persona giudicata! Ma chi tra noi, anche senza essere giudice in toga, è capace di giudicare con amore il “reo”? E soprattutto, sappiamo giudicare chi ci ha fatto un torto mettendo in mezzo un “terzo” che ci giudica ma non ci condanna? Da Livatino vorrei imparare proprio questo.

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