Di nuovo al lavoro/1 – «Dopo il coronavirus un rientro in sicurezza»

Intervista al dottor Guido Chichino

La Fase 2 per molte persone ha significato, oltre alla possibilità di fare una passeggiata, rivedere i genitori e più semplicemente uscire di casa senza autocertificazione, anche la necessità di rientrare sul posto di lavoro. Bisogna per forza sottoporsi al test sierologico? E se si è certi di aver avuto il virus, quanti tamponi bisogna avere? Per aiutarci a fare chiarezza tra su cosa sia necessario fare e come farlo per tornare in ufficio, in azienda o in fabbrica in sicurezza abbiamo chiesto la consulenza del dottor Guido Chichino, direttore del reparto Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliera di Alessandria.

Dottor Chichino, se una persona risulta positiva al coronavirus ed è in isolamento domiciliare, quando può rientrare al lavoro?
«L’ammissione al lavoro dipende dall’ente di appartenenza, se pubblico o privato, e va fatta seguendo i regolamenti interni. In linea generale, servono due tamponi negativi eseguiti a distanza di 48 ore. Il test sierologico in questi casi non è necessario».

Una volta che la persona è rientrata al lavoro con tutte le cautele di cui sopra, può considerarsi immune da una nuova infezione sempre da Covid-19? Sappiamo che non c’è un parere unanime della comunità scientifica sull’argomento…
«Non è vero che non c’è parere unanime della comunità scientifica sull’argomento: chi crede di sapere dare una risposta a questa domanda non appartiene certo alla comunità scientifica. Siamo di fronte a un virus nuovo che conosciamo da tre mesi e nessuno sa con certezza se chi ha già contratto la malattia è immune o meno a una nuova infezione. Comunque, gli ultimi test sierologici indicherebbero di no, ma tutto è ancora possibile. Ne riparleremo fra un anno, per avere risposte più chiare».

Ha senso chiedere ai lavoratori un test sierologico per farli rientrare in ufficio dopo un periodo di chiusura, anche se non hanno avuto nessun sintomo di coronavirus?
«Questa procedura ha senso solo se ad un eventuale risultato positivo dato dal test sierologico seguisse subito l’esecuzione del tampone, altrimenti no».

Ci aiuti a comprendere i risultati del test sierologico: se è negativo vuol dire che non ho contratto l’infezione e che non ho gli anticorpi, quindi potrei comunque contrarla in futuro? Se è positivo invece vuol dire che ho gli anticorpi ma anche che ho un’infezione in corso e che quindi devo sottopormi a tampone e rientrare al lavoro solo dopo il doppio tampone negativo, come spiegato poco sopra?
«Il problema dei test sierologici è che non sono ancora raffinati e quindi danno dei valori poco attendibili. Innanzitutto andrebbe scelto un unico metodo e tutti i risultati andrebbero confrontati con lo stesso sistema di misura. A oggi sappiamo con certezza che chi ha avuto la malattia clinicamente evidente (febbre, ricovero, polmonite, assistenza respiratoria etc.) presenta degli anticorpi con titolo significativo: infatti può donare il plasma per curare altri pazienti. Chi invece ha avuto oppure continua ad avere il tampone positivo ma con pochi sintomi o addirittura senza sintomi, di solito ha sierologia negativa. Inoltre, gli ammalati che presentano alti titoli di anticorpi ben presto li perdono. Infine, moltissimi test in commercio danno dei valori falsamente positivi. È per questi motivi che eseguire i test sierologici senza sintomi, così tanto per sapere di più sulla mia situazione personale, non ha alcun senso. Perché se sono negativi non ho la certezza di non essere venuto in contatto col virus e se sono positivi non posso sapere quando e se mi sono ammalato veramente».

Esiste ad oggi una “Patente di immunità”?
«Assolutamente no».

Se una persona è asintomatica e in quarantena perché è stata a contatto stretto con un caso accertato di Covid-19, cosa deve fare per ritornare al lavoro?
«La procedura corretta sarebbe quella di eseguire il tampone, ma non solo per tornare al lavoro. Tutti i contatti stretti andrebbero controllati».

Zelia Pastore

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