L’Editoriale di Andrea Antonuccio
Care lettrici, cari lettori,
in questo periodo di convalescenza sono stato intervistato da alcune emittenti radiotelevisive: tra queste, TelePace di Chiavari e Radio Vaticana. Ogni volta ho ricordato quanto mi ha fatto bene la vicinanza di papa Francesco. Ho ancora negli occhi e nel cuore la sua preghiera per la fine della pandemia, quel venerdì 27 marzo sul Sagrato della Basilica di San Pietro.
Ero ancora in ospedale, in una situazione critica: indossavo il casco “Cpap” che, pur essendo trasparente, non rendeva semplice visualizzare il mondo esterno, e nemmeno sentire le voci per il rumore costante dell’ossigeno immesso al suo interno (il ronzio era simile a quello di una lavatrice di una ventina di anni fa, per capirci… solo che era a qualche centimetro dal mio orecchio destro). Eppure, anche se in una situazione così poco agevole, appoggiando il cellulare alla parte morbida del casco (che sta sotto il mento) ho seguito quella preghiera così impressionante, in una piazza assolutamente vuota, ma allo stesso tempo ricolma di supplica e di domanda.
A un certo punto, il Santo Padre ha detto una cosa che mi ha fatto sobbalzare: «Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”».
Pensare di rimanere sempre sani in un mondo malato: ditemi se avete mai sentito pronunciare, da qualche politico o capo di Stato, un giudizio così acuto e preciso della situazione in cui ci troviamo. Io sto ancora aspettando: e voi?