Quanto conta il valore della continuità

La testa e la pancia

Servirebbe davvero cambiare guida tecnica in questo momento di crisi?

Non sono tempi lieti per l’Alessandria Calcio anche se l’augurio – in vista degli ultimi due impegni pre-natalizi contro Pro Vercelli e Gozzano – è di poter concludere l’anno solare 2019 con il sorriso della speranza per l’avvenire. Va da sé, il momento è piuttosto infelice, e non solo per le cinque sconfitte e i cinque pareggi (a fronte di una sola vittoria) rimediati nel corso delle ultime undici tornate di campionato ma, soprattutto, per quella sensazione di insicurezza e di fragilità clamorosamente messe in mostra nella partita di Cremona, in cui gli orsacchiotti sono stati messi sotto una formazione che, prima dell’incontro, aveva collezionato esattamente la metà dei loro punti in classifica a parità di partite.

Molto facile, adesso, è esibirsi in accurate valutazioni tecnico-tattiche o mettere in discussione l’allenatore (da sempre il primo a pagare in casi del genere) ma noi vorremmo tenere d’occhio un altro dato statistico, quello dei timonieri scelti dalla dirigenza dell’Alessandria da quando questa si è insediata, cioè a dire, da poco meno di sette anni a questa parte. Sarà allora agevole realizzare come, da quando Luca Di Masi è il patron dei Grigi, sulla panchina mandrogna si sono avvicendati in media circa due allenatori a stagione e come, dietro la scrivania, questa media sia invece stata di circa un uomo a campionato (ricorrendo all’equità della matematica tra i quasi tre anni di Magalini i circa tre mesi di Sensibile). A questo dato se ne deve però aggiungere un altro, non meno importante, che è quello delle rose rivoluzionate sistematicamente ad ogni stagione alla ricerca della miglior competitività, forse con la sola eccezione dell’anno scorso (all’insegna dell’infausto “Progetto giovani”) e un po’ anche del presente, più nell’ottica di una restaurazione.

E allora la conclusione che se ne potrà trarre dovrà necessariamente essere una sola: con così tanti cambiamenti è veramente impensabile poter vincere perché, dietro ogni vittoria, c’è sempre un lavoro di sedimentazione condotto per un certo lasso di tempo attorno ad alcuni uomini chiave. Sia ben chiaro, qua e là è sempre possibile operare qualche aggiustamento e qualche avvicendamento, ma l’ossatura deve essere costruita per durare nel tempo, per portare avanti quello che oggi viene chiamato comunemente progetto. È forse questo l’unico vero peccato originale del munifico patron dell’Alessandria (un presidente che, comunque sia, c’è davvero da augurarsi di tenere a vita) quella di avere inseguito con troppa frenesia il successo senza avere dato modo alla sua stessa creatura di poter maturare attorno ad un’idea.
Di Masi ne tragga gli utili spunti per un futuro migliore di un passato che, comunque, qualche bella soddisfazione l’ha portata.

Silvio Bolloli