Benvenuto, don Giuseppe!

Vita della diocesi

L’ingresso del nuovo parroco nella comunità di Valenza

La giornata di domenica 10 novembre è stata, per la Diocesi di Alessandria e la città di Valenza, decisamente particolare. Nella Festa del Santo Patrono della Diocesi, San Baudolino, Valenza ha accolto l’arrivo del nuovo parroco, don Giuseppe Bodrati. Un pomeriggio molto articolato, che lo ha visto prendere possesso canonico delle parrocchie a lui affidate: Sant’Eusebio in Monte Valenza, Sacro Cuore di Gesù, Nostra Signora della Pietà, Sant’Antonio e, infine, Santa Maria Maggiore con il solenne Pontificale. Fin qui la cronaca degli avvenimenti, molto ben documentati peraltro da fotografie e commenti sui social in queste ore. Ma non si può ridurre nemmeno il “fiume” di immagini a semplice curiosità, così come non si può pensare che centinaia di persone abbiano riempito il Duomo soltanto per vedere il nuovo parroco. C’è sicuramente di più.


E penso che questo “di più” possa essere incorniciato nelle due frasi che, manco a farlo apposta, hanno aperto e chiuso la solenne Messa. «Questa celebrazione segna un punto di svolta»: più o meno con queste parole monsignor Gallese ha iniziato il Pontificale. Un punto di svolta che pone fine a un’estate molto “calda” per la Chiesa di Valenza; e che può anche essere interpretato come la necessità di fare fronte a una diminuzione del numero dei sacerdoti (ma, ricordava il Vescovo nel suo intervento al Sacro Cuore, qualcosa si sta muovendo, visto che sei giovani hanno iniziato un cammino di discernimento vocazionale) e, quindi, rimodulare il numero e la dislocazione dei parroci. Una svolta che suona tanto come “conversione”, cioè una chiamata forte a ritornare a guardare all’essenziale, a volgere (vertere) lo sguardo su ciò che conta. E in questo senso le parole del sindaco Gianluca Barbero al termine della celebrazione mi sono sembrate inerenti: all’inizio del suo intervento, ha descritto Valenza come una comunità capace di gesti grandiosi così come di piccolezze, di slanci altruistici così come di egoismi. Una comunità (e mi ha colpito molto che, proprio in chiesa fosse ripetuto questo termine) che è in grado di fare tantissimo, ma anche capace di rinchiudersi a riccio se ferita.

Questa comunità civile, e ancor più la Chiesa che è in Valenza, sente il bisogno di accogliere il suo nuovo pastore, perché le indichi il cammino verso Cristo e la accompagni; perché le ricordi che è proprio da una ferita, come abbiamo letto sul recente editoriale di questo giornale, che può passare qualcosa. Una ferita può essere il chicco di grano che, morendo, dà frutto, dà un “di più”.

Leonardo Macrobio