Ricordando mons. Canestri

TESTIMONIANZE DI VITA / TERZA E ULTIMA PARTE

Ricordando mons. Canestri

[segue dal numero scorso]

Neppure se ci fossimo fissati appuntamento, avremmo potuto essere sincronizzati nell’incontrarci alla stessa ora. Erano le sette del mattino; normale orario per tre piemontesi, figuriamoci per un tedesco! Il discorso fu cordiale e piacevole nel rammentare cose alessandrine alle quali partecipava volentieri anche il Prefetto della Dottrina della Fede, che nelle nostre terre era stato più volte. Don Giovanni condusse l’argomentare delle parole, infarcite di buon umore e di aneddoti sui tempi del seminario “mandrogno”, termine che il futuro Benedetto XVI non comprese e per il quale fu necessaria una traduzione. Ebbene, quando incontrai il Pontefice, da poco eletto, ci scambiammo alcune parole di circostanza ed egli mi sorprese alquanto, ricordandomi l’incontro di qualche anno prima in piazza sant’Uffizio. Se le fotografi e potessero parlare, quel mio stupore fu ritratto in una memorabile immagine dov’è palese la meraviglia provata per l’incredibile memoria del Papa.

Per la mia ordinazione diaconale nel 2004, quando don Giovanni dal 1995 era già un “Cardinale in pensione che è tornato finalmente a fare il prete” come amava definirsi, mi inviò una lettera dal contenuto spirituale che implicava un programma pastorale che avrei dovuto seguire per piacere, non tanto al mondo, quanto a Cristo. In pensione sì, ma la sua attiva presenza nelle Congregazioni romane, ne faceva di lui un esempio di fedeltà al ruolo e di operosità continua nella vigna del Signore. Nel 2006, in occasione del XXV del ritorno fra le braccia del Padre di don Vittorio Borsalino, intesi ricordare il mio parroco con la pubblicazione di un volume di sue memorie; ne parlai al Cardinale che immediatamente mi fece avere una sua testimonianza sull’amicizia che lo legava al compagno di seminario e di banco e del quale ricordava con affetto, gli anni trascorsi insieme nella “fabbrica dei preti” di via Vochieri in Alessandria. Lo incontrai ancora una volta sul sagrato di San Pietro in Vaticano per una celebrazione presieduta da papa Benedetto XVI; gli anni erano indubbiamente trascorsi ma lo spirito attento e lucido di Sua Eminenza, e anche se mi pare di vederlo arricciare il naso tra le nuvole del cielo, permettete che almeno per una volta e in prossimità della chiusura di questo mio scritto, lo definisca come lo nominava l’annuario pontificio, era sempre lo stesso; identico a quello del mio primo incontro con lui, oltre trent’anni prima. In quella circostanza ci salutammo come sempre, inconsapevoli che sarebbe stata l’ultima volta che ci vedevamo su questa terra.

La sua voce continuai a sentirla per le circostanze di rito della Pasqua, di san Giovanni, del Natale, dell’anniversario della sua ordinazione e forse in qualche altra occasione che si inseriva fra di esse, anche per la nostalgia di ascoltare la sua voce che di volta in volta si affievoliva, pur mantenendo accesa la luce della mente. Gli ultimi contatti avvenivano attraverso suor Chiara che era il suo angelo custode terreno e che amorevolmente lo assisteva e mi riferiva le sue parole che con ogni probabilità le mie orecchie non avrebbero percepito in diretta. La stagione primaverile prometteva un cambiamento in meglio del tempo atmosferico e forse dalle finestre aperte della sua residenza romana di via Cernaia entrava il profumo dei tigli, quello stesso che rallegrava il suo cuore di bambino a Castelspina, il paese natale, tanto, tanto tempo prima; anche il cinguettio dai rami sembrava il ritmo di una canzone o di un’antica filastrocca cantata dalla mamma chinata sulla sua culla. Lo sguardo cercava un volto amico e inevitabilmente s’incrociava con quello dell’immagine della Madonna che stava accanto a lui. Il suo motto cardinalizio non diceva forse: “Opus tuum nos o Maria”?

La giornata terrena stava per concludersi con il tramonto; il calendario umano per lui segnava la veneranda età di 96 anni. Quel pomeriggio del 29 aprile 2015 si celebravano i vespri di Caterina da Siena Patrona d’Italia, una santa alla quale don Giovanni era particolarmente legato; per lui invece iniziava il canto dei “primi vespri” in paradiso; la sua voce non più tremolante, si sarebbe fusa e mescolata con quella degli angeli e dei tanti “Santi” che aveva avuto in terra come amici per una lode eterna al suo Signore. Caro don Giovanni, parlando e scrivendo di lei, ho rivissuto molti anni della mia vita e i ricordi si sono presentati alla mente come fatti appena successi. Questo significa che davvero ai piedi dell’altare, nel Suo amore, Dio allieta la nostra giovinezza nella fede; sempre e per sempre!

diac. prof. Luciano Orsini
Delegato vescovile per i Beni Culturali della diocesi di Alessandria

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