Il romagnolo Pier Damiani fu nell’XI secolo monaco, teologo, vescovo di Ostia e cardinale; ora è venerato come santo e dottore della Chiesa ed è sepolto nella basilica cattedrale di Faenza. Città Nuova ha pubblicato la sesta parte delle sue “Lettere” (113-150), a cura di Nicolangelo D’Acunto e Lorenzo Saraceno (pp 440, euro 60). I testi raccolti, con originale latino a fronte, furono indirizzati a monasteri, duchesse, principi, prefetti. In esse traspare un afflato pastorale ed ascetico, ben riassumibile nella raccomandazione alla duchessa Adelaide: «sforzati sempre di ascendere dal bene al meglio» (Lettera 114, 15, p. 51). Questa prospettiva non degenera però in fanatismo masochistico: il santo consiglia anche di non esagerare con le penitenze corporali preferendo la flagellazione spirituale, ossia la mortificazione dell’amor proprio che causa egoismo e peccato. Curioso il fatto che definisca l’arcidiacono Ildebrando di Soana, futuro Papa e Santo Gregorio VII, «mio fraterno amico-nemico», hostilis amici mei (Lettera 122, 3, p. 183): segno che talvolta le antipatie umane possono coesistere con un autentico cammino di fede. Interessante anche il rilevare che certi concetti, che sembrano a qualcuno esclusiva del concilio Vaticano II (1962-1965), come quello del sacerdozio comune, Pier Damiani li descrivesse già nel 1067: «ogni cristiano, per grazia, è sacerdote di Cristo» (Lettera 145, 3, p. 371). Insomma, a leggere questo volume di lettere si fa un salto all’indietro di mille anni ma si capisce meglio il presente.
Fabrizio Casazza