Sei anni fa, pochi giorni dopo essere stato eletto successore dell’apostolo Pietro, il neo-papa Francesco esclamò: «Ah come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!». Quello della povertà è un tema che percorre tutta la storia del cristianesimo, a partire dalle stesse pagine del Nuovo Testamento. Lo storico Peter Brown vi ha dedicato il suo ultimo libro, pubblicato nei mesi scorsi da Carocci, Tesori in cielo, che trae origine da un ciclo di lezioni tenute nel 2012 presso l’Università della Virginia (Usa).
Un concetto portante del volume è quello di “povero santo”, colui che sceglie volontariamente di dedicarsi completamente alla vita spirituale fino al punto di cessare da ogni attività lavorativa. Nacque così subito la questione sull’uso delle ricchezze e sulla loro suddivisione all’interno della comunità: privilegiare l’aiuto agli indigenti o il sostegno ai poveri santi? Di fatto, secondo il libro, s’instaurò la prassi di uno “scambio spirituale”: i benestanti avrebbero mantenuto i monaci ottenendo in cambio da essi l’accompagnamento orante. In effetti secondo la tradizione siriaca, radicata negli odierni Iraq, Turchia orientale, Siria, Giordania, il lavoro rappresentava «il segnale più eclatante della schiavitù umana» (p. 76); affrancarsene voleva dire condividere da subito il mondo degli angeli.
L’Egitto si collocava in una prospettiva diametralmente opposta: «il lavoro non era considerato solo un fattore a garanzia della virtù monastica dell’indipendenza economica, ma anche un pesante fardello dell’umanità che i monaci stessi affermavano di condividere con tutti i fratelli cristiani, anzi, con tutti gli esseri umani» (p. 123). Dopo il IV secolo tutto divenne più istituzionalizzato e finì per affermarsi il modello benedettino, riassunto nella formula ora et labora. Il testo si spinge a vedere nei catari e nei primi francescani del XII secolo gli eredi dei monaci “angelici” orientali: l’affermazione meriterebbe sicuramente degli approfondimenti, che peraltro esulano dall’arco temporale della ricerca di Brown. Questo libro fa capire che nella storia sono stati diversi, e probabilmente tutti giustificati, gli approcci per dare corpo all’ideale evangelico della povertà, che papa Francesco oggi chiede di riportare al centro della prassi pastorale.
Fabrizio Casazza