In questi giorni l’opinione pubblica statunitense – ma non solo – si sta appassionando circa la conferma di Brett Kavanaugh come giudice della Corte Suprema, messa a rischio dalle accuse di presunte tentate violenze sessuali ai tempi del liceo.
In effetti dopo la designazione da parte del presidente Trump sono necessari l’advice and consent del Senato, cioè l’approvazione parlamentare. In realtà non solo in America il ruolo delle aule di giustizia sta diventando sempre più preponderante, in un certo modo anche nella creazione delle leggi, così da arrivare anche all’attenzione dei mezzi di comunicazione generalisti.
Lo studioso Pasquale Annicchino ha effettuato un’accurata e interessante analisi su questo tema, approfondendo in particolare in chiave comparativa il ruolo della fede e dell’etica nell’ambito della Corte Suprema degli Stati Uniti e della Corte europea dei diritti dell’uomo (tribunale internazionale del Consiglio d’Europa che, si badi bene, non coincide con l’Unione Europea).
Ne è scaturito il libro La religione in giudizio, edito dal Mulino (pp 216, euro 20).
Neutralità appare la categoria che meglio descriverebbe il rapporto religione-politica. Qui entrano in gioco diverse interpretazioni di questa neutralità che sfociano in diverse concezioni della laicità dello Stato: l’area statunitense la intende soprattutto come religious freedom, per cui la dimensione religiosa è una delle condizioni di creazione dello spazio pubblico, mentre l’approccio europeo d’impronta francese la concepisce come separazione ostile, per cui la laïcité è declinata come neutralizzazione dell’efficacia pubblica delle religioni attraverso il monopolio dello spazio comune. Così in pratica le Corti giudiziarie si trovano a mediare tra istanze politiche profondamente diverse, tenendo anche conto del fatto che la Corte di Strasburgo deve continuamente interfacciarsi con gli ordinamenti nazionali che devono poi dare esecuzioni alle sue pronunce.
Il libro, che presenta molte citazioni in inglese nelle note purtroppo non tradotte, aiuta certamente a inquadrare il dibattito a un livello alto, suggerendo di tenere sempre sotto il controllo sul rapporto tra politica e magistratura, per non tradire né la verità delle cose né i principi del diritto né la volontà degli elettori.
Fabrizio Casazza