A Brescia esiste il Centro San Giovanni di Dio dei Fatebenefratelli, un Centro di ricerca per l’Alzheimer e le malattie mentali che collabora con più di quaranta Centri in Europa e Nord America. Il Ministero della Sanità ha riconosciuto l’Irccs (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) come Centro di Eccellenza di Rilievo Nazionale, per l’attività di ricerca clinica sulla riabilitazione dei malati psichiatrici e con malattia di Alzheimer. Agisce all’interno della rete italiana Afar (Associazione Fatebenefratelli per la Ricerca) che riunisce 13 strutture sanitarie distribuite su tutto il territorio nazionale. A livello europeo è uno dei maggiori Centri di Ricerca per la malattia di Alzheimer. È attivo da più di vent’anni con pubblicazioni riconosciute su riviste scientifiche internazionali. Ho la possibilità di visitare l’Istituto nel mese di agosto grazie ai Fatebenefratelli, Ordine che conosco da anni, apprezzato per le tante attività che svolge a favore dei bisognosi, dei malati e delle persone che fuggono dai loro Paesi a causa della guerra, della povertà e sperano d’essere accolte e integrate nella nostra società. Sabato 4 agosto entro nel grandioso complesso accompagnata dal Priore Superiore fra Dario e penso subito alla responsabilità del suo compito e al suo saluto d’ingresso, il 19 marzo 2018, letto sull’ultimo notiziario dei Fbf: “… ha ricordato a tutti quanto la pesante eredità che riceve riguardi tutte le persone che sono chiamate a condividere il carisma dell’Ospitalità, così come avviene nelle famiglie quando, ricevendo grandi eredità, vengono coinvolti i membri di diverse generazioni… Evidenziando il ruolo che la ricerca occupa all’interno del nostro Istituto, fra Dario ci ricorda inoltre che già i Padri della Chiesa ci insegnano quanto la ricerca non è altro che ricercare sempre il bene ed il meglio della persona, invitando tutti a mantenere uno sguardo attento sul fine ultimo al quale l’uomo è chiamato…”. Un caloroso benvenuto e anche un ben tornato nella sua terra bresciana “fra gente caparbia, capace di grande lavoro e vicinanza”. È bello partecipare alle funzioni religiose mattutine e serali insieme con gli amici frati e le care suore!
Eccomi girovagare nell’Istituto per conoscere di più e meglio quanto mi circonda… Guardo gli ospiti ammalati ricoverati che parlano fra di loro o silenziosi camminano come se portassero sulle spalle enormi pesi; li saluto, rispondono, osservano incuriositi… Un sorriso per tutti, qualche scambio di notizie sulla massima temperatura mitigata dalla benefica ombra dei tanti secolari alberi. Passo davanti alle porte aperte degli uffici dei ricercatori, penso al grande bene che fanno per i malati con i loro studi e che è giusto donare contributi perché “Niente ricerca, niente cura; senza ricerca la cura è insufficiente; senza cura c’è solo disperazione; senza finanziamenti la ricerca si ferma; aiutare la ricerca per ridare la speranza”. Durante le mie passeggiate, all’interno dell’Istituto, osservo compiaciuta le accoglienti casette per diversi ospiti, le varie strutture adibite per i 150 emigranti (altri 150 si trovano nella Casa di Accoglienza dei Fbf, fuori dall’Irccs), gli animali che liberi girano nella loro dimora recintata. Una breve escursione serale sul monte della Maddalena, a 900 m. di altitudine, con gli amici frati, è assai piacevole per la frescura e per la vista dall’alto della città illuminata. Visite gradite ad alcuni santuari della zona e da conservare è la foto ricordo davanti alla statua del papa bresciano Paolo VI, prossimo beato, nella chiesa dove celebrò la sua prima Messa.
Tutto interessante e utile per la mia conoscenza e una sorpresa assai gradita… rivedo una cara amica, infermiera in pensione, esperta nell’assistenza ai disabili, dopo 40 anni! Lei venne ospite a casa mia a San Michele, nel mese di agosto, per conoscere e prendersi cura di mio figlio. Ritorno a casa contenta per i nuovi e vecchi incontri, per l’esperienza vissuta in pace e armonia. Un volto difficilmente, però, potrò dimenticare… quel giovane nigeriano conosciuto in chiesa. Reduce da un trauma subito in un lager della Libia, nel disperato tentativo di fuggire dall’inferno del suo Paese, non è più in grado di parlare con nessuno e rifiuta persino una mia affettuosa carezza. Spero tanto nella buona futura notizia di una sua ripresa perché la Vita non può condannarlo all’infelicità perpetua!
Adriana Verardi Savorelli