Alcide De Gasperi fu uno dei politici italiani più importanti del Novecento. Nato nei pressi di Trento nel 1881, nel 1911 viene eletto nel Parlamento di Vienna e nel 1921 viene eletto deputato nelle liste del partito popolare, che nel 1924 lo nomina segretario. L’ascesa del fascismo verso la dittatura totalitaria a partito unico, lo costringe a dimettersi alla fine del 1925. Nel 1927 viene arrestato a Firenze con l’accusa di espatrio clandestino; alla fine del lungo processo è condannato a due anni e sei mesi di reclusione. Nel 1929 è assunto nella Biblioteca Apostolica Vaticana dove rimane fino al crollo del regime fascista. Dopo la guerra diventa il leader della Democrazia Cristiana e vince alle elezioni del 1948 diventando presidente del Consiglio dei ministri fino al 1953. Morì nel 1954 e dal 1993 è in corso la causa di beatificazione. Due recenti libri riportano le sue opere. De Gasperi scrive (San Paolo, pp 466, euro 28), curato dalle figlie Maria Romana e Paola, raccoglie una selezione di lettere dal 1920 alla morte, attraverso le quali è possibile delineare una storia sociale e politica dell’Italia che stava entrando nel fascismo, che conobbe il dramma della dittatura e della guerra prima e la fatica della ricostruzione poi. Una curiosità tra le tante che emergono dal volume: come scrive a don Simone Weber, Pio XI fu inizialmente contrario a indire nel 1933 un giubileo straordinario della Redenzione («i cattolici commemorano la redenzione ogni giorno nella S. Messa»), ma poi cambiò idea. Il secondo testo che presentiamo, Diario 1930-1943 (Il Mulino, pp 272, euro 22), è curato dalla storica Marialuisa Lucia Sergio (la cui introduzione occupa circa metà del volume) e racconta i cosiddetti anni dell’«esilio interno» a partire dalla «agenda privata cui affidare il proprio pensiero più intimo e profondo». Il tema centrale è rappresentato dai rapporti tra la Chiesa e il regime fascista a seguito dei Patti Lateranensi del 1929; la crisi del 1931 aveva portato, secondo la curatrice, allo «smantellamento delle reti cooperativistiche del solidarismo cattolico, omologazione del pensiero corporativo della dottrina sociale della Chiesa all’ideologia fascista, irreggimentazione dell’associazionismo laicale». In questa situazione – e ancor più in quella tedesca – la preoccupazione dello statista consiste nel «dimostrare che l’unico baluardo contro la deriva dell’estremismo politico-religioso e razziale è costituito dalla presenza politicamente organizzata dei cattolici al centro del sistema politico». Tuttavia, egli coltivò un’idea di partito «lontana tanto dalla caratterizzazione clericale di milizia missionaria al servizio delle utopie di restaurazione cattolica dei Comitati civici quanto dalla visione palingenetica delle sinistre dossettiane». Questi due recentissimi e qualificati contributi aiutano a conoscere meglio la figura di un politico credente e coerente.
Fabrizio Casazza