Sulla facciata del nostro duomo, all’angolo di via Parma, è posta una statuetta, alquanto abrasa, che secondo la tradizione popolare raffigurerebbe il mitico Gagliaudo Aulari, con la seguente iscrizione: «gagliaudo aulario / de patria b. m. statuam / templo m. vix fundato / anno mclxxv e. p. d. erectam / everso anno mdccciii disiectam / philippus bolla / et julius cavasanti / curatores aedis sacrae / m. c. restituerunt / anno mdcccxv». La piccola scultura, prima di venire murata nel 1815, era in precedenza collocata sulla porta del campanile della vecchia cattedrale fatta abbattere sciaguratamente da Napoleone nel 1803. Non tutti però ritengono di vedere ritratte le sembianze dell’astuto contadino che salvò la città dalla furia distruttiva di Federico I. Il senatore Ercole Ricotti, in una lezione all’Università di Torino, sostenne infatti che la figura scolpita fosse in realtà quella di Anselmo Medico, console dei piacentini e comandante di tutto l’esercito alessandrino al tempo dell’assedio. Inoltre, a proposito della presunta forma di cacio sul capo, pensava si trattasse di un berretto dottorale. Di diverso avviso Francesco Gasparolo, secondo il quale la sproporzione di tale peso rispetto al resto del corpo, nonché il faticoso atteggiamento per sostenerlo, rendesse più plausibile l’ipotesi di una formaggetta lodigiana (essendo l’Aulari un villico venditore di latte). Nel romanzo “Baudolino”, Umberto Eco fa ritrovare a Emanuele Boidi, in una chiesa diroccata nei pressi di Villa del Foro, la statuetta di un vecchietto curvo che tiene tra le mani «una specie di macina da mulino, una pietra da costruzione, forse una grande formaggia, và a sapere cosa». Lo stesso Boidi deciderà di fare un buco “su quella cosa che teneva in testa” per nascondervi nientemeno che il Sacro Graal! Verosimilmente il poco artistico telamone raffigura appunto un Atlante che regge il mondo, magari sistemato qualche tempo addietro a ornamento di un antico palazzo longobardo. A parere di Carlo A-Valle questo «rozzo ma caro monumento, che ancora ai dì nostri si vede sull’angolo della cattedrale», opera di un ignoto lapicida lombardo del XI secolo, si trovava nella villa regia di Marengo – che ospitò Federico I nel 1160 e l’arcivescovo Rainaldo di Colonia nel 1167 – poi andata distrutta a seguito della fondazione di Alessandria. Un’ultima nota curiosa: all’inizio del Novecento si sparse la voce, ovviamente di stampo goliardico, che la statua fosse stata vista muoversi e addirittura urlare nelle notti di luna piena.
Mauro Remotti