Omelia, omelia per piccina che tu sia… – L’editoriale di Andrea Antonuccio

«L’omelia deve essere ben preparata, deve essere breve». È l’invito fatto da papa Francesco durante l’udienza generale di mercoledì 7 febbraio nell’aula Paolo VI. E poi: «Quante volte vediamo – ha proseguito il Papa – che durante l’omelia c’è chi si addormenta, altri chiacchierano, o si esce fuori a fumare una sigaretta. Ecco, tutti lo sapete!». Ecco, care lettrici e cari lettori: tutti lo sappiamo! Scagli la prima pietra chi non si è mai annoiato, almeno una volta nella vita, durante la predica a Messa. «Quindi sia breve l’omelia, sia ben preparata – ha ribadito il Pontefi ce – E come si prepara? Con la preghiera, con lo studio della parola di Dio, e fare una sintesi chiara. E breve. Non deve andare oltre i 10 minuti, no». Anche stavolta Francesco, con l’onestà intellettuale che lo contraddistingue, coglie il problema e non si nasconde dietro a un dito. E così dovremmo fare anche noi, laici e consacrati. Chiariamoci: non è solo un problema di durata, ma di contenuto. Quante volte, alla fi ne dell’omelia, ci siamo chiesti: «Ma che cosa ha detto?». E quante volte, invece, ci siamo stupiti di una predica che ci ha aperto il cuore? Ognuno di noi può rispondere, facendo riferimento alla propria esperienza. Di una cosa sono certo: una bella omelia nasce da una bella vita di fede. Se questa manca, ci si può solo nascondere dietro alle citazioni e alle parole vuote. Vuote, perché non toccano la vita, in primis di chi le pronuncia. «La buona notizia, la parola di Dio entra dalle orecchie, arriva al cuore e poi alle mani per fare le opere buone». Ma se non ce la fa a entrare, dalle orecchie…

Andrea Antonuccio 

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