La crisi che da anni ha travolto il mondo dell’editoria tradizionale continua, giorno dopo giorno, a mietere vittime illustri, generando cortocircuiti davvero inaspettati. L’ultimo, eclatante, caso è quello del vignettista Staino, che dalle colonne de L’Unità è approdato nientemeno che a quelle di Avvenire: «ero rimasto disoccupato» è stato il commento, ironico, ma velato dalla consapevolezza di una crisi che travolge la carta stampata d’ogni orientamento. È amaro constatare lo spegnersi di tante voci storiche, ed anche la nostra “Voce” è chiamata, edizione dopo edizione, a rinnovare la propria ragion d’essere, l’opportunità e la necessità del propriϖo ruolo al servizio della comunità. Don Carlo Torriani, “padre” del giornale, ha lasciato, tra le pagine di «Uomini di buona volontà», una testimonianza davvero consolante in merito alla nascita della testata. Lo storico direttore accostava la nascita di «Verità e fede» (primo nome del nostro giornale), il 9 gennaio 1879, all’inaugurazione dell’attuale duomo, avvenuta il 29 aprile dello stesso anno. In entrambi i casi si trattava di una grande vittoria del popolo alessandrino: con la nuova cattedrale i cattolici avevano ritrovato una casa e l’orgoglio dopo le devastatrici scorribande di Napoleone, mentre il giornale aveva dato loro «una bandiera che mai fu ammainata e portò a tante vittorie». Una bandiera che non rimase tranquilla a lungo. Questo, infatti, fu il “benvenuto” che gli riservò la stampa liberale, dalle colonne de “L’avvisatore della provincia”: «Osanna, Osanna! Avremo anche noi un giornale pretino. È tutto combinato. Il Vescovo lo coprirà con le sue ali, i parroci si assoceranno e qualche prete e canonico farà altrettanto. Le dame di Maria, le paolotte, i picchiapetti ne prenderanno una copia. La vita è dunque assicurata… E noi poveri di spirito che credevamo impossibile un giornale clericale nella nostra città!». Banalità, inutilità, bigotteria: i soliti luoghi comuni con i quali la stampa cattolica è chiamata a confrontarsi. Una sfida che il primo direttore, don Giuseppe Prelli, e poi tanti altri “uomini di buona volontà” hanno saputo assumere, anche esponendosi a rischi. E la storia non ha mancato di riconoscere i loro meriti: quel «giornale pretino» che gli avversari immaginavano destinato solo a qualche “topo di sacrestia” è ancora tra le vostre mani, sgargiante di colori, mentre dell’illuminato «Avvisatore» non rimane che qualche copia imbrunita a prender polvere nel deposito della biblioteca.
Il giornale «pretino»
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