Migliaia di famiglia Alessandrine, centinaia di migliaia di famiglia italiane nella più totale insensibilità ed indifferenza dei vari governi che si sono succeduti fino ad oggi (settembre 2018), sono vessate dal recupero crediti. Vale allora la pena di dedicare un articolo alla nascita del recupero crediti. Il recupero crediti nasce nelle grandi repubbliche marinare di Venezia e di Genova. Dopo secoli di espansione, tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVIII, lo sviluppo della potenza turca nel Mediterraneo e, soprattutto. lo spostamento delle rotte commerciali verso l’Atlantico portarono ad una grande finanziarizzazione dell’economia delle Repubbliche Marinare I grandi commercianti, proprietari di flotte di navi, generali, ammiragli spostarono le enormi ricchezze accumulate nei secoli di espansione, dal commercio alla rendita e all’attività di banchieri. Prestito bancario alle dinastie regnanti dei grandi stati europei e prestito, spesso usuraio, nei confronti delle classi inferiori della repubblica. In questo contesto nasce il primo recupero crediti istituzionalizzato: la pittima. Chi aveva un credito che non riusciva a riscuotere, si rivolgeva alla pittima. Questa allora prendeva a pedinare il debitore domandandogli in continuazione e pubblicamente di pagare il suo debito. Il pedinamento costante era accompagnato da lamenti, urla, frasi di derisione. I debitori venivano così presi per sfinimento. La riscossione del debito fruttava una percentuale più o meno congrua alla pittima. La pittima era facilmente riconoscibile. Vestiva di rosso e questo faceva sì che tutti sapessero del debito, aumentando l’imbarazzo del pedinamento. In un mondo ancora molto connotato dalla solidarietà era praticamente impossibile trovare persone disposte a fare il mestiere della pittima. Le pittime venivano quindi reclutate tra le fila degli emarginati, delle persone indigenti, spesso fa gli ex carcerati. Le repubbliche avevano sviluppato un sistema di assistenza per gli indigenti, gli assistiti dovevano prestarsi al lavoro di pittima. Per tutelare la sicurezza di questi individui vi era tutto un sistema giudiziario. Infatti il creditore non poteva assolutamente reagire alla pittima, pena prigione ed ignominia. Si tratta ovviamente di modalità ancora tardo medievali, che però spesso ritroviamo ai giorni nostri, soprattutto nel recupero crediti rivolto alle fasce inferiori dei debitori. L’utilizzo dei Casamonica, che ci viene descritto abbastanza usuale nelle periferie romane, non è una novità dei nostri giorni (un esempio fra i 1000: www.ilmessaggero.it/roma/cronaca/roma_casamonica_usurai-3923089.html) La figura della pittima, nella sua fragilità sociale, è immortalata nella stupenda canzone di De André “a pittima”, dell’album Crêuza de mä. Traduco dal genovese i versi maggiormente caratterizzanti il personaggio: “Cosa ci posso fare se non ho le braccia per fare il marinaio se in fondo alle braccia non ho le mani del muratore” Soltanto in Italia tra i grandi paesi democratici il mestiere della pittima si sta diffondendo a macchia d’olio. Strati professionali e strati burocratici oramai lavorano a tempo pieno come pittime, pur non essendo vestiti da capo a piedi di rosso. Non troviamo niente di analogo nelle grandi nazioni europee. Anzi la classe politica di questi paesi cerca, intelligentemente, di riscattare imprenditori e famiglie in una posizione di debito incolpevole.
Pittima – dizionario Treccani Pìttima s. f. [lat. tardo epithĕma, dal gr. ἐπίƟεμα propr. «ciò che è posto sopra»]. – 1. ant. Decotto di aromi nel vino (anche epitema e epittima), che in passato si applicava caldo sulla regione del cuore, o del fegato, o dello stomaco, a scopo terapeutico, come un impiastro. 2. fig. a. Persona uggiosa, fastidiosa, che annoia con le sue insistenze o le sue lamentele (cfr. gli analoghi usi fig. di cataplasma e impiastro): è una p.; non riesco a liberarmi di quella p.! non fare la pittima! In realtà come terapia non valeva nulla, e per di più era sgradevole e fastidiosa. È facile intendere come quindi questa parola sia passata a indicare personaggi noiosi, uggiosi, seccatori.
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Giovanni Pastore