Care lettrici, cari lettori,
mi hanno profondamente colpito le parole (le trovate a pagina 8 di Voce) pronunciate domenica 15 aprile da Meris Corghi, durante la Messa di anniversario della morte del beato Rolando Rivi, ucciso nel 1945 proprio dal papà di Meris, il partigiano Giovanni. Lei, dopo 73 anni, ha chiesto perdono alla famiglia Rivi. Un perdono accolto con un abbraccio. «Un miracolo», ha commentato il vescovo di Reggio-Guastalla. Rolando, giovane seminarista reggiano, il 10 aprile del 1945 viene sequestrato da Giovanni Corghi e dal compagno Delcisio Rioli. I due, dopo averlo torturato per tre giorni, lo conducono in un bosco, gli fanno scavare la sua fossa e poi lo uccidono con due colpi di pistola. Il giovane, prima di morire, prega per i suoi genitori. Era il 13 aprile del 1945. Rolando Rivi viene beatificato il 5 ottobre 2013 da papa Francesco. E al Beato noi dedichiamo il paginone centrale per rimettere al centro, in queste giornate dedicate alla festa del 25 aprile, qual è la nostra liberazione: non un’ideologia, non una bandiera e nemmeno un progetto buono e giusto. Solo un Imprevisto vince la durezza del nostro cuore e ci libera. Una liberazione concreta, non solo spirituale. Lo spiega benissimo Meris, nella sua richiesta di perdono: «È ora, è ora per la vita di riconciliarsi con la vita. Vi prego, partiamo da qui per fare un mondo nuovo. Le responsabilità ultime dell’odio non sono degli uomini ma dei creatori di queste guerre. […] Ma noi abbiamo l’arma più potente di tutti, noi abbiamo il cuore. Noi possediamo il dovere dell’amore e siamo tanti. Noi siamo tanti. Il loro odio non sopravviverà al nostro amore».
Andrea Antonuccio
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