#iorestoacasa… con 16 pagine e un amico in Cina

L’Editoriale di Andrea Antonuccio

Care lettrici,
cari lettori,
questo numero di Voce è tornato ad avere 16 pagine, per “effetto” delle restrizioni imposte (giustamente) dalle autorità allo scopo di frenare la diffusione del coronavirus. Un’emergenza a cui non eravamo preparati, e che proviamo a raccontarvi in questo numero. Oggi mi ha chiamato un amico di lunga data, Pablo, che da diversi anni vive in una grande città della Cina. Voleva sapere se stavamo bene, e com’è la situazione in Italia. «Un gran caos» mi è venuto da rispondergli. Lui coglie la palla al balzo: «Non uscite, per carità. Io sono a casa da sei settimane, con tutta la famiglia». Sei settimane? Mi sono immaginato ai “domiciliari” per un mese e mezzo… Da impazzire! «Certo, è dura» riprende il mio amico al telefono «perché la convivenza familiare non è pacifica. Si discute, si litiga… ma conviene farlo. Da noi l’emergenza è praticamente finita. E da voi?». Da noi forse il “picco” deve ancora arrivare. Stiamo cominciando adesso a “interiorizzare” le norme di comportamento più adeguate alla situazione. «E mi raccomando, gli anziani!» continua Pablo. Quando gli spiego che abbiamo anche abolito il “sacro” pranzo della domenica con i nonni, per evitare contagi, tira un sospiro di sollievo: «Bravi!». Sento da parte sua una preoccupazione reale: quella di chi ha visto che cos’è il coronavirus, e vuole mettermi in guardia da un pericolo che io potrei sottovalutare. Capisco che la mia, la nostra responsabilità è sollecitata a scegliere tra un sacrificio (momentaneo) e un sostanziale menefreghismo: le sanzioni, erogate o minacciate, non spaventano nessuno (avete letto dei due “sciatori” di Codogno?). In Cina, mi racconta Pablo, se esci dalla “zona rossa” ti becchi cinque anni di galera. «Qui lo Stato su queste cose non scherza» conclude con un certo orgoglio, prima di salutarmi. E da noi?

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