“Alessandria racconta” di Mauro Remotti
Francesco Testore, padre della poesia dialettale
Francesco Testore viene considerato il vero padre della poesia dialettale alessandrina. Nasce ad Alessandria il 1 aprile 1797, e sin da piccolo deve fare i conti con le ristrettezze economiche familiari. Inizia così molto presto a lavorare come tintore in via Migliara. Nonostante la stanchezza, alla sera scrive poesie utilizzando la lingua che conosce meglio: il vernacolo. Viene incoraggiato a comporre dal conte Pietro Melazzi, un mecenate locale che intravede il valore letterario delle sue opere. Entra quindi a far parte della Riunione artistico-letteraria alessandrina, un cenacolo culturale che si ritrova presso la dimora del conte Alfonso Mathis Ghilini.
Nel 1848 partecipa ai comizi popolari ed è tra i promotori della prima società di mutuo soccorso (artisti e operai). Diventa anche consigliere comunale, carica che gli permette di battersi per i diritti dei più poveri. I suoi componimenti, che si diffondono velocemente anche attraverso fogli volanti, si caratterizzano per una vena sarcastica e ironica (che gli valgono l’appellativo di “Porta alessandrino”), e alcuni vengono anche musicati. La sua produzione lirica comprende in tutto 121 poesie divise in cinque gruppi, che saranno poi raccolte postume in un volume a cura della Società di Storia e Archeologia della Provincia di Alessandria e stampate dalla tipografia Jacquemond.
Il primo gruppo raccoglie sedici opere in versi denominate “Orazioni di Sant’Antonio”: simpatiche preghiere di zitelle alla ricerca di un marito. Seguono venti “Favole”, d’ispirazione esopiana, sotto forma di sonetto. La terza sezione è composta da ventidue “Poesie d’occasione” (matrimoni, battesimi e altre feste); la quarta include trentuno “Poesie varie”. Di particolare interesse l’ultimo gruppo formato da trentadue “Poesie in vernacolo ebraico”, in cui l’autore – che peraltro non cela affatto il proprio pregiudizio nei confronti degli ebrei – mette in risalto la diversità tra il dialetto comune e quello parlato dalla popolazione giudaica presente in città.
In Piemonte, così come in altre parti d’Italia, gli ebrei avevano introdotto nel gergo locale alcune espressioni caratteristiche (ad esempio l’uso della parola “scola” al posto di “sinagoga”), dando così vita a vere e proprie lingue giudeo-italiane, la cui finalità principale era quella di non farsi comprendere da terzi in caso di pericolo. Le poesie in dialetto ebraico scritte da Testore sono state successivamente inserite nel volume “Ròbe dl’aotr’olam (Cose dell’altro mondo)” facente parte di una collana di letteratura in lingua piemontese curata da Roberto Gremmo. Francesco Testore viene a mancare nell’anno 1883.