[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Michele Morelli, il Questore di Alessandria dal 20 novembre 2017 e dirigente superiore della Polizia di Stato, è nato a Milano il 13 maggio 1961 ed è laureato in giurisprudenza all’Università di Napoli. È sposato e ha un figlio, prima di arrivare ad Alessandria è stato questore della provincia di Belluno, dal 26 gennaio 2015.[/box]
Morelli, cosa rappresenta per lei questo mestiere?
«Io dico sempre che questo mestiere non si può fare se non si ha una grande passione, altrimenti diventerebbe una tortura lunga 40 anni. È un lavoro totalizzante, pieno di responsabilità, che ti impegna per la maggior parte del tempo, e ti tiene anche lontano dagli affetti. Poi però c’è il desiderio di essere utili alla società, e questo diventa una molla incredibile che mi aiuta superare i momenti di difficoltà».
In questi anni come ha visto cambiare la città?
«(Sorride) L’altro giorno leggevo un articolo sulla percezione che i cittadini hanno sulla propria condizione sociale ed economica. In tutta Italia questa percezione è peggiorata, ma la provincia nella quale è peggiorata maggiormente è quella di Alessandria. Dove addirittura il 70% dei cittadini ritiene di stare peggio. Tutto questo a fronte di una sicurezza che invece negli ultimi cinque anni ha visto i reati diminuire del 40%. Negli ultimi due anni i furti in abitazione sono diminuiti a 1.500 all’anno rispetto ai 2.500 di tre anni fa. Allora se la sicurezza che è aumentata non contribuisce in alcuna maniera a questa percezione dei cittadini che pensano di stare male, diventa una fonte di preoccupazione anche per noi. Anche camminando per strada avverto una mancanza di entusiasmo e ottimismo nelle persone».
Sta finendo questo 2019, facciamo un bilancio?
«La normativa, come per esempio il “Daspo urbano”, ci ha fatto risolvere delle criticità che sembrano minimali ma che incidevano sulla percezione della sicurezza. Mi riferisco ai parcheggiatori abusivi del piazzale Berlinguer, oppure lo spaccio ai giardini della stazione. Con un gioco di squadra, sotto la regia della Prefettura, siamo riusciti a risolvere delle questioni che non sono prettamente di nostra competenza. Come dicevamo prima, i reati sono diminuiti dall’anno scorso a quest’anno del 10%, dal 2017 al 2018 del 20%. Per un totale del 30% in due anni. La percezione può essere varia, ma la statistica parla chiaro».
Qualche mese fa abbiamo assistito alla tragedia dei Vigili del fuoco. Se al loro posto ci fosse stato un membro delle forze dell’ordine ci sarebbe stata la stessa eco mediatica?
«Secondo me sì, perché l’onda emotiva viene determinata molto dall’evento, non dal soggetto che è coinvolto. Nella tragedia c’è una parte positiva: si è centrata l’attenzione su un corpo fondamentale della società, quello dei Vigili, che pativa soprattutto dal punto di vista economico».
Perché non sempre la divisa viene vista in modo positivo dai cittadini?
«È molto semplice, le spiego. Mentre i Vigili hanno una funzione preventiva e finalizzata alla sicurezza pubblica. Noi, come i Carabinieri, abbiamo una funzione preventiva e repressiva. Nel momento in cui il reato vine commesso, sta ovviamente a noi cercarne l’autore. Quindi gioco forza veniamo visti come una forza “negativa”».
In questo discorso, secondo lei, influiscono i casi in cui la divisa ha commesso degli errori? Penso a Cucchi, Aldrovandi, Uva…
«Io non voglio nascondere niente. Tra ufficiali e agenti di Polizia giudiziaria siamo 500 mila in Italia. Lei vuole che in una famiglia di così tante persone non ci sia quello che “sbrocca” o che è una mela marcia? L’importante è che ci siano gli anticorpi, e mi pare che in questo senso ci siano sempre stati. In Italia interventi, come quelli di Cucchi o Aldrovandi, ce ne sono a migliaia ogni giorno e notte. Statisticamente, purtroppo, ci sta che qualche volta si sbagli…».
I dati del dossier dell’Osservatorio curato da Stefano Olivari e Fabio Angei, pubblicato su “Repubblica” dicono che siamo uno dei Paesi in Europa con il numero di maggiore di forze di Polizia ogni 100 mila abitanti. Ma in realtà non è questa la percezione…
«Noi siamo tanti, tantissimi. Ma abbiamo tantissime competenze. Credo che l’Italia sia uno degli unici Paesi che ha affidato la concessione del passaporto alla Polizia di Stato. Siamo il paese che ha più scorte al mondo: al Sud ci sono uffici di scorte, come Palermo, con 300 poliziotti. E questi sono solo alcuni aspetti. Per cui se paragonati numericamente agli altri Paesi europei siamo tanti, ma se rapportati alle competenze che abbiamo siamo pochi. Ma c’è un altro grande problema…».
Cioè?
«Con la “Spending review” (Revisione della spesa pubblica, ndr) abbiamo perso vari anni di concorsi, la nostra età media è passata dai 40 ai 50 anni. E nei prossimi dieci anni andranno in pensione in 40 mila».
I poliziotti sono sottopagati?
«Il poliziotto non è sottopagato, ma non è pagato in rapporto a quello che dà. Se io fossi nel privato guadagnerei dieci volte di più rispetto a oggi. Il poliziotto per quello che dà alla società, pur vivendo dignitosamente, non riceve in cambio abbastanza».
Che cosa chiede allo Stato sia dal punto di vista economico che giuridico?
«Dal punto di vista economico chiedo di aumentare le indennità di chi lavora con maggiori rischi. Il poliziotto svolge il suo mestiere 24 ore su 24: quando esce dall’ufficio non diventa un normale cittadino, ma continua a essere un poliziotto e se c’è un reato in corso ha l’obbligo di intervenire. Mentre dal punto di vista giuridico chiedo che quando un nostro uomo arresta un reo si aspetta che questo vada in carcere, non che venga liberato dopo un giorno. Chiediamo una legislazione maggiormente tutelante, non solo per le forze dell’ordine, ma per la società».
Alessandro Venticinque