E’ un’equazione sbagliata. Dovremmo continuare a mantenere presente il messaggio del Papa: gli emigranti sono comunque uomini e donne disperati.
Dovremmo sempre avere in mente due presupposti: il primo, siamo stati una nazione di migranti economici per almeno un secolo; l’altro, chi delinque è una cosa diversa e va mandato a casa, non può rimanere nella società civile. Ma chi delinque da noi non sono questi migranti. Le persone che fanno violenza agli anziani, alle donne, che vanno a scardinare le case, che girano con macchine di grande potenza e si fanno inseguire dalla polizia facendo cose folli, non sono questi migranti. Tutti quelli che sono venuti in provincia di Alessandria la Croce Rossa li ha accolti e visitati gratuitamente e nei momenti della visita non hanno vergogna a mostrare il corpo che molte volte è segnato da situazioni difficili o ustionato dalla nafta sulle barche, gente che presenta colpi di machete se arrivano dalla Nigeria, persone incinte senza sapere chi è il marito, gente violentata, bambini…
Ecco, i bambini. Sono particolarmente a rischio come gli adolescenti e i giovani?
Sono persone particolarmente a rischio perché noi, impegnati nel fare la guerra politica per prendere un voto in più o in meno, usiamo il migrante come l’occasione per fare, come al solito, la guerra su tutto. Ci dimentichiamo, facciamo finta, ignoriamo che questi ragazzi sono i più disperati. Intanto perché non hanno gli affetti e già loro per sopravvivere hanno fatto di tutto. Il bambino fa tenerezza. Quando li vedi sbarcare dal barcone, quando vedi le mamme che li hanno persi, le scene di disperazione quando vengono affidati a strutture che, nei limiti del possibile, fanno come possono ma, poiché l’accoglienza molte volte è un aspetto burocratico, i bambini spariscono. Ed è facile pensare che diventano oggetto di traffico.
I giovani che chiedono l’elemosina davanti ai supermercati creano reazioni negative nei cittadini. Da dove vengono. E cosa si può fare?
I giovani che chiedono la carità davanti ai supermercati non sono i migranti che arrivano. Sono persone che sono già da noi.
Nella maggior parte dei casi sono controllati da una rete di sfruttatori e l’indicazione, in molti casi, è quella di non dare soldi a questi. Poi ci si lascia intenerire, io per primo, non me la sento di negargli quei pochi spiccioli. Così come le nigeriane sulla strada che scappano dalle violenze di Boko Haram e trovano qua, comunque, una rete di violenza dove il paradosso è che i benpensanti, da una parte dicono “che scandalo le donne nigeriane sulla strada” dall’altra sono gli stessi che le caricano in macchina. E questo è scandaloso.
Continuiamo a vedere persone nei centri di accoglienza inattive tutto il giorno. Molti pensano non sia utile tenerli a far nulla quando ci sarebbero piccoli lavoretti da fare, oltre ad insegnare loro l’italiano.
Le cooperative hanno l’obbligo di insegnare l’italiano. L’eccessiva politicizzazione del problema fa sì che i Prefetti siano lasciati soli. Il Prefetto è il terminale dello Stato, ha l’obbligo di risolvere in qualche modo questa emergenza e lo fa con gli strumenti che ha a disposizione. Ad Alessandria, per l’esperienza che mi sono fatto, la Prefettura impegna tutta se stessa – Prefetto, personale parlano con i Sindaci, non ci sono mai state requisizioni o imposizioni.
Quando vedo che tiriamo su muri, facciamo reticolati o facciamo finta di non vedere o ci scandalizziamo perché arriva il migrante mi sembra di leggere quelle testimonianze di chi ha sofferto l’Olocausto rispetto a quelli che non volevano saperne niente.
Con muri e reticolati quale pace costruiamo?
Le parole del Papa quando dice che la terza guerra mondiale spezzettata c’è, sono parole drammatiche per la loro verità.
Quello che pensavo di leggere nei libri l’ho visto di persona: ho visto cos’è lo stupro etnico, i campi di concentramento dove la gente moriva di fame, le donne violentate, le fosse comuni.
Il Papa – citarlo oggi sembra quasi troppo facile ma è l’unica persona che continua ad avere una linea chiara – ha chiesto di intervenire in Siria tanto tempo fa, non lasciando che la violenza prendesse piede perché quando prende piede è l’idea di violenza che supera la capacità di ragionare.
La violenza ha trasformato una nazione civile come la Siria, in un macello. Questa idea di violenza è così forte che è chiaro che non la si può combattere con le belle parole.
Non dobbiamo dimenticare che bisogna trovare il coraggio per imporre la pace. Non è così facile pensare di andare in Africa montando i cosiddetti hotspot accertando chi ha il diritto di partire: in una nazione dove non esiste il diritto non esiste niente.
Il mondo sarà in mano ai puri di cuore se si eliminano quelli che fanno dell’odio una motivazione per il loro modo di muoversi. Lo vediamo quotidianamente: ci sono gli attentati, situazioni che sono fatti da persone che non accettano più il nostro sistema e, forti di un’ideologia di guerra, arrivano a creare problemi alla nostra convivenza. Noi abbiamo avuto settanta anni di pace dopo due macelli spaventosi e oggi pensiamo che intorno a noi, che stiamo sufficientemente bene, la pace sia qualcosa che ci può servire solo raccontandola. Non è così.
L’ideale di pace non possiamo relegarlo alla giornata, all’enunciato, bensì muoverci per evitare di essere catturati da questa spirale di odio.
[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]
La croce nascosta nell’orlo della gonna
Dall’Eritrea erano arrivate una serie di persone fra le quali una mamma con un bambino con delle pustole spaventose in faccia perché la scarsa igiene, la traversata, il sale, il sole avevano deturpato il suo volto. Non riuscivamo a capire cosa diceva ed aveva il terrore sul volto. Dal racconto di qualcuno che riusciva ad esprimersi, questi bambini li avevano nascosti nelle sacche drogandoli con un tè strano per farli dormire e non farsi accorgere della loro presenza nei posti di frontiera, per evitare che glieli sequestrassero per andarli a vendere. Erano persone che scappavano per motivi religiosi e davanti ai militari sono rimaste spaventate perché per loro il militare è segno di violenza. Con noi della Croce Rossa hanno incominciato a parlare ma il bambino continuava a piangere e l’abbiamo portato all’Ospedaletto, che è un punto eccezionale. Siamo riusciti a trovare un’infermiera che veniva dall’Eritrea e parlando con con questa mamma l’ha tranquillizzata dicendole che i medici erano lì per curare il bambino e non per rubargli gli organi. Quando è ritornata per raggiungere la destinazione assegnatale, portava ancora con sé la gonna, ormai uno straccio, che aveva usato per il viaggio. Mi sono domandato perché portasse ancora con sé quello straccio. Quando stava per salutarmi, di colpo ha preso la gonna, ne ha disfatto l’orlo traendone un piccolo crocifisso come quello del Rosario, l’ha baciato e l’ha messo al collo del bambino. Mi ha fatto capire loro là non potevano certamente far vedere i segni religiosi perché erano scappati per quello. Adesso si sentiva sicura in un posto dove la croce la poteva baciare. Mi ha fatto anche capire che la croce che portavo io era quasi simile a quella. Le persone che scappano di lì sono come questa donna: scappano da situazioni difficili per venire in un mondo che perlomeno non abbia più la guerra. Pensare di respingerli tout court senza valutare fino in fondo le loro storie è un crimine come quelli delle persone che negli anni ’40 ignoravano i treni degli ebrei che passavano. [/box]