Il punto di vista – L’albero Felice

“Nato su lembo di terra, carpita con indefessa tenacia, alla valle onnipresente – A.D. MDCLX”. Questa è la mia data di nascita scritta sulla mia corteccia. ‘Albero felice’: così mi chiamano gli umani. Sono un gelso (Morus Nigra), il più vecchio della Romagna e dell’italico stivale, nato nella campagna di Mezzano di Ravenna nel 1660. In quel tempo c’era il papa Alessandro VII, da allora 32 pontefici hanno occupato il seggio di Pietro e l’ultimo, che mi piace tanto, ha scelto di chiamarsi Francesco come il Santo amante della natura con tutte le sue creature. La casa a me vicina, del fine 1700, all’origine era di proprietà dello Stato Pontificio, poi fu acquistata da un capitano delle guardie papaline e alla sua morte, a causa della lotta al brigantaggio, la vedova, una contessa francese, la vendette ai signori Montanari. Morti anche i componenti di questa famiglia tutto passò in eredità all’attuale proprietario, Franco Fenati, cugino di Marina Montanari. Per lei ho sofferto perché era la mia migliore amica. Ci volevamo tanto bene ed è lei che ha proposto la festa per me, da ripetere, se possibile, ogni anno. Io sono ancora qui, felice della vita che mi è stata data e che, un giorno spero lontanissimo, mi sarà tolta perché così è per tutti, ma io sogno di vivere per sempre nel cuore e nella mente di quelli che mi amano. Purtroppo gli acciacchi ci sono e ho bisogno di cure speciali; per questo ringrazio i tecnici del Comune che provvedono ai periodici controlli. Sono alto oltre 12 metri e in una piccola nicchia del mio tronco dimora la statuetta di Sant’Antonio Abate. Nel mese di giugno chi vuole può gustare i miei dolcissimi frutti rosso-violaceo e nella calda estate, con la mia grandiosa chioma verde, assicuro a tutti la desiderata ombra benefica. Sono stato un rifugio per viandanti, contadini, militari e un riferimento preciso per molti. Sono testimone di avvenimenti storici dolorosi, ma anche gioiosi. Ricordo il bandito Stefano Pelloni, noto a tutti come il Passatore che, dovunque andasse, provocava terrore. Intorno al 1850, io l’ho visto fuggire verso la valle. Nel 1945, quasi alla fine della guerra, venivano a farmi visita alcuni soldati inglesi e io li sentivo discutere appassionatamente, speravano che presto finisse l’immane tragedia. Uno di quelli, sposato con figli, tutte le sere andava a casa di nonno Agostino Savorelli, un caro amico che abitava vicino, e là ritrovava l’atmosfera di famiglia, insieme sognavano la pace e parlavano dei futuri progetti di vita. Gli piaceva molto l’Italia e affermava che sarebbe tornato in futuro come turista. Una sera, però, non venne e non lo vidi mai più. Un particolare avvenimento gioioso resta incancellabile… quei bambini, accompagnati dalle loro maestre… ognuno di loro teneramente mi abbraccia e grida: “Caro albero, ti voglio tanto bene!” Voi umani dite che la bellezza salva il mondo e io penso a quei milioni di uccelli che hanno cantato, giocato, dormito tra i miei rami e ancora ne vedo tanti, li sento e provo un meraviglioso stupore. Sì, la felicità esiste! Chi cerca sicuramente la trova. Dio, creatore della Vita e di tutte le cose, ti ringrazio, anche per questa festa a me dedicata domenica 13 maggio 2018!

Adriana Verardi Savorelli

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