Editoriale

“Un Papa come questo non l’abbiamo mai avuto”. Si chiude così l’intervista a papa Francesco di Eugenio Scalfari, pubblicata sabato scorso su Repubblica. Il novantatreenne giornalista, uno dei più noti esponenti del laicismo contemporaneo, ha indubbiamente ricevuto una grande Grazia (“Per sperare occorre aver ricevuto una grande Grazia”, scriveva il giornalista e poeta francese Charles Péguy): il dono di un’amicizia sincera con il Vicario di Cristo, che si è messo totalmente in gioco con un non credente, da sempre nemico della Chiesa. Alla fine dell’incontro, Scalfari racconta il suo congedo da Francesco: “Il Papa mi sostiene e mi aiuta a entrare in macchina tenendo lo sportello aperto. Quando sono dentro mi domanda se mi sono messo comodo. Rispondo di sì, lui chiude la portiera e fa un passo indietro aspettando che la macchina parta, salutandomi fino all’ultimo agitando il braccio e la mano mentre io – lo confesso – ho il viso bagnato di lacrime di commozione”.
Ditemi se non sono le stesse lacrime dell’Innominato manzoniano, di fronte al cardinale Federigo: “I suoi occhi, che dall’infanzia più non conoscevan le lacrime, si gonfiarono; quando le parole furon cessate, si coprì il viso con le mani, e diede in un dirotto pianto, che fu come l’ultima e più chiara risposta”. La stessa risposta di Eugenio Scalfari, che a 93 anni ha ceduto all’abbraccio del Papa. E ha pianto le sue lacrime più belle.

 

 

Andrea Antonuccio

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