Riprogettare la città sfatando le utopie

Non si vive di sole rotonde

Fra qualche settimana il ponte Meier sul Tanaro troverà il dovuto compi-mento e sarà percorribile nei due sensi. Un ponte è sempre una infrastruttura di comunicazione, di unione, di scambio. Quando si vuole mettere in difficoltà le comunità che abitano rive opposte di un fiume si abbattono i ponti. Quando, invece, si cerca conoscenza, dialogo, relazioni, si costruiscono ponti. Una comunità, però, non vive solo di opere civili – leggasi strade, marcia- piedi, rotonde, giardini, illuminazione – ma di incontri e, perché no, di scontri determinati da idee ed opinioni diverse perché ogni persona è unica e irripetibile e porta con sé un bagaglio di conoscenze, usi e costumi che ne determinano i comportamenti. La nostra città non è esente da tutto ciò ed è, perciò, importante ricercare il modo più convincente e sereno della convivenza sociale.

E’ utopico pensare che chi si occupa di architettura e di ingegneria possa ideare un modello di sviluppo urbano rivedendo un piano regolatore che ha più di mezzo secolo? E’ fantasia sognare una nuova viabilità che superi il sistema “a pettine” attuato negli anni ’70 ma non più confacente alle esigenze di viabilità di oggi? E’ utopico provare a camminare nelle vie del centro senza il problema delle auto che ti sfiorano, che parcheggiano selvaggiamente senza rispetto per i pedoni? Manca una manciata di mesi alla consultazione amministrativa per il Comune ed è impensabile veder concretizzate delle utopie. Un impegno, però, lo può manifestare chi si assumerà la responsabilità di candidarsi a governare la città, senza calcoli elettorali che impediscano di progettare per il futuro di chi verrà dopo di noi. Ogni buon amministratore sa che è al servizio di una comunità che gli ha dato fiducia e che chiede di essere ricambiata per poter vivere il presente e costruire il futuro. Anche questo non è utopia.

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